In Italia oltre trentaduemila
bambini (32.000), fra il mese ed i dodici anni di età, al momento sono
in affidamento forzato. Alcuni in istituti, altri in case famiglia o in
famiglie vere e proprie ma convenzionate. Allo Stato italiano ogni bimbo
tolto alla famiglia di origine, in qualsiasi struttura si decida di
mandarlo, costa in media duemilacento (2100) euro al mese. L'affare che
ne deriva è fin troppo facile da quantificare e si aggira sugli
ottocentocinquanta milioni di euro l'anno (850.000.000). Un business
milionario per qualsiasi struttura convenzionata in quanto i bambini non
necessitano, come gli anziani nelle case di riposo (che se a carico
dello Stato costano all'incirca la stessa cifra), di cure
particolarmente costose o di infermieri e dottori in costante presenza.
Ciò che deriva da questa sconvolgente situazione è una spaccatura fra
gli stessi operatori dei Servizi Sociali che si trovano ad avere vedute
diametralmente opposte l'uno con l'altro in quanto alcuni, stranamente,
si comportano in maniera ambigua fra i vari casi di volta in volta loro
segnalati. Segnalati sì, perché la maggioranza delle situazioni
famigliari sono denunciate dai vicini di casa. Quindi basta essere un
nucleo non agiato e trovarsi a vivere di fronte a persone astiose per
rischiare di vedersi portare via i propri figli. Oltre ai vicini chi
segnala situazioni di disagio sono i docenti scolastici e le forze
dell'ordine.
Il caso più emblematico è di certo quello trattato più
volte da "Chi l'ha Visto", e riguarda una bimba, in tivù è chiamata
"Stella" ma nella realtà "Anna Giulia", che fu tolta ai genitori per
motivi veramente insulsi.
La famiglia Camparini, genitori di
Anna Giulia, nel 2007 vive a reggio Emilia, non ha trascorsi felici ma
da due anni, dopo la nascita della figlia, pare aver trovato una certa
stabilità tanto che la droga è solo un lontano ricordo. La coppia sta
sistemando casa, vive in una bifamiliare con giardino e cortile e deve
finire alcuni lavori ed imbiancare i muri per renderla confortevole, per
questo ci sono scale e altre attrezzature sparse per le stanze. Una
notte, all'improvviso, una squadra dell'antidroga fa irruzione nel loro
appartamento. Per entrare passano dalla finestra della camera di Anna
Giulia che a vedere questi omoni grossi nella stanza chiaramente si
spaventa. I genitori corrono in suo soccorso e scoprono che è stata
autorizzata una perquisizione in quanto si presume, voci di confidenti,
che abbiano nascosto della droga in casa. Non c'è nulla e tutto pare
essere passato, anche se i Camparini non han preso bene lo spavento
subito dalla figlia e qualche parola in più l'hanno detta. Ma non è
passato nulla, il peggio deve venire. Dopo qualche giorno gli assistenti
sociali, allertati dai carabinieri che dichiarano la casa "fatiscente",
li convocano nei loro uffici. Si fanno i controlli e la casa risulta in
ristrutturazione ma non fatiscente, i lavori procedono e c'è un
bellissimo giardino pieno dei giochi di Anna Giulia.
D'improvviso tutto tace, la
procedura va avanti d'ufficio ed i genitori li si invita a fare colloqui
o quant'altro serva per capire la situazione che sta vivendo loro
figlia. Questo fino a metà 2008 quando, il 23 giugno, un giudice decide
che la bimba dev'essere affidata ad un istituto nonostante alcuni
operatori dei servizi sociali avessero dichiarato la coppia adeguata per
capacità e empatia. Dopo questa sentenza i coniugi vengono invitati,
assieme ad Anna Giulia, ad un colloquio, e qui succede quanto una madre
non vorrebbe mai succedesse. La bimba è portata in un'altra stanza con
la scusa di darle un gioco, ha tre anni ed un gioco in più fa sempre
piacere, mentre i genitori vengono rassicurati ed obbligati a restare
seduti... ed in meno di dieci minuti si compie il "fattaccio". La figlia
sparisce nel nulla ed inizia così il loro calvario. Ma stanno alle
regole, vanno ai colloqui ed a trovare la bimba nei tempi e nei modi
stabiliti tanto che la relazione dei servizi sociali è nuovamente
favorevole, Anna Giulia deve tornare al più presto con la sua famiglia.
Ma a questa decisione si oppone il giudice dei minori di Bologna. Quale
sarà mai il motivo? Non c'è motivo perché non lo motiva, è così e
basta!
Certo, da quel momento in poi i
Camparini non se ne sono stati con le mani in mano e per troppo amore
hanno sbagliato a rapire la figlia, si sono beccati pure due anni e
passa di carcere a testa (sei mesi li hanno trascorsi in cella), ma
nessun giudice ha mai cercato di agevolare il rientro di Anna Giulia,
nemmeno affidandola ai nonni (prassi comune in questi casi) anzi si è
fatto esattamente l'opposto tanto che alle promesse non sono mai seguiti
i fatti. Le due relazioni favorevoli al rientro in famiglia sono state
accantonate e se n'è voluta un'altra.
Il faldone è capitato così in mano
alla dottoressa Sgarbi, di Bologna, che senza mai chiamare la coppia
(in televisione ha detto che dovevano essere loro a mettersi in contatto
con lei e non lei con loro, roba da matti) ha relazionato la non
idoneità e ad oggi, dopo l'ultima sentenza di un paio di mesi fa, la
bimba è stata dichiarata adottabile da altri. E questo è capitato perché
ad un giudice non andava quella mattina di leggere relazioni
favorevoli... o perché accanto a quelle favorevoli vi erano altre
relazioni sfavorevoli? Non è uno schifo di prima grandezza il pensare
che c'è chi si arroga il diritto di togliere un figlio alla sua famiglia
solo perché soffre di prurito mattiniero e gli scoccia di andare a fare
bene il suo lavoro? Altro non si può pensare perché "altro" potrebbe
portare alla malafede o ad un tornaconto diverso da quello che la legge vuole da un giudice.
Ed alla stessa maniera del
giudice che giudica senza leggere, si comportano troppi giudici che
invece di essere autonomi nelle decisioni si affidano in tutto e per
tutto alla struttura che annovera al suo interno anche personaggi
ambigui diventati negli ultimi anni i "nuovi zingari". E seppure gli
operatori dei servizi sociali si lamentino di questi termini, ed hanno
ragione perché in maggioranza sono persone preparate e di cuore, lo
dimostrano altre vicende eclatanti che incatenano alcuni di loro a
relazioni mai disattese dai giudici.
Quella di Vito Gigante, ad esempio,
è una storia attuale. La situazione si sposta di zona, in questo caso
siamo a Trieste, ma la realtà dei fatti è la stessa. Nessuna difficoltà
economica del padre, nessun problema con la giustizia, eppure c'è una
assistente sociale che da oltre due anni segue ossessivamente le mosse
di quella famiglia. Non può aggrapparsi a nulla ed i figli restano
sempre affidati a lui fino a quando, all'ennesima relazione, un giudice
decide che il padre non è più in grado di dare al figlio, solo al
piccolo di nove anni e non al grande di tredici (nessun giudice ha mai
tolto un figlio di tredici anni al padre quindi i servizi sociali
neppure ci provano a portarli via) quanto al figlio serve e sentenzia
che sì, è in grado di accudire e mantenere il figlio piccolo, ma è poco
"empatico" e quindi conviene che il minore si allontani.
Il suo avvocato si oppone, dice:
"Chiediamolo al bimbo se vuole lasciare il padre o se assieme a lui sta
bene, insomma ha nove anni". Ma non ce n'è per nessuno e viene fissata
una data, il 14 ottobre, quale giorno ultimo che il bimbo potrà vivere a
casa sua. E quel giorno due assistenti, accompagnate da due agenti,
suonano alla sua porta. Ma il bambino resiste, urla e scappa, non ne
vuole sapere di allontanarsi da quel genitore poco empatico che ama
perché suo padre.
Gli agenti non se la sentono di prenderlo a forza e le
assistenti sono costrette ad andarsene a mani vuote. Ma è solo il primo
round e quanto doveva avvenire avviene... anche se in maniera subdola e
vigliacca, alla zingara per capirci. Il due novembre, pochi giorni fa
quindi, alle nove il bimbo è in classe con tutti i suoi compagni,
l'insegnante parla di storia e lui si sente sicuro, è a scuola, quale
luogo lo potrebbe proteggere di più? Ma non c'è luogo che resista agli
assistenti sociali. Infatti alla porta bussa una donna, la maestra si
avvicina, le parla e poi lo chiama e gli dice di prendere le sue cose e
andare fuori. Nessuno scrupolo, nessuna telefonata al padre, consegna un
suo alunno, che segue da più di tre anni, come fosse un pacco postale.
Immaginatevi il cuore di questo bimbo che mai si sarebbe aspettato un
agguato a scuola. Lui esce di classe e per prima cosa prende il
cellulare, preventivamente lasciatogli dal padre, per chiamare a casa.
Con le assistenti sociali sono presenti anche due ispettori di Polizia,
ma nessuno dei due ferma chi strappa il telefonino dalle mani del
piccolo, anzi lo bloccano, perché non fugga, e lo caricano in auto.
Destinazione un istituto di
Porto Marghera, a 130 chilometri da casa, che tratta solo bambini
abusati in famiglia. Ma lui non ha mai subito abusi, perché farlo vivere
a contatto con chi ha vissuto altre realtà? Eventuali confidenze non
potrebbero traumatizzarlo? In ogni caso solo quando il bimbo è in
quell'istituto si decide di avvisare il padre.
Padre che non può né
parlare né vedere suo figlio, almeno fino al 2 dicembre, perché questi
sono gli ordini impartiti dal giudice. Ed io mi chiedo se ci sarà un
giorno chi metterà ordine fra questi "zingari" che vagano per l'Italia
spalleggiati da altri zingari che vivono immeritatamente nei tribunali.
Mi chiedo se ci sarà chi metterà ordine gettando le mele marce,
paragonabili a quelle pseudo insegnanti che maltrattano i bimbi negli
asili nido, nei rifiuti. E' una domanda la mia, una domanda che nasce
dopo aver saputo che basta la telefonata di un vicino per subire
controlli invasivi. Ma prima di portar via un figlio altrui non ci si
deve premunire di capire se è amato o trattato male? E questo ci porta a
Mirabello Monferrato, un piccolo comune in provincia di Alessandria
dove, grazie alla fecondazione in vitro, Gabriella De Ambrosis,
una donna di 57 anni, e suo marito Luigi, di 70, a giugno 2010 da un
mese accudivano la loro bimba. La felicità in quella casa era salita al
cielo, dato che da anni volevano un figlio, ed il fiocco rosa che
adornava il cancello sembrava aver dato nuova vita a quei genitori,
anziani solo sulla carta perché giovanili in tutto e per tutto.
Ma dopo solo un mese la felicità si strozzò in gola ad entrambi. Tutto è
partito alle 10 di sera di un giorno estivo molto caldo. Il padre era
in giardino ed aveva sistemato sul sedile dell'auto la piccola (dentro
l'ovetto) per poterla controllare mentre sistemava alcune cose. Ad un
tratto sentì il telefono di casa suonare. Il suo sbaglio? Lasciare per
cinque minuti la bimba nell'auto parcheggiata nel suo cortile. Ad un
bravo e solerte vicino, che controllava da giorni i suoi movimenti,
questo bastò per far quello che da giorni voleva fare. Sì perché questa
fu la scusa che lo portò a telefonare agli assistenti sociali, ma in
effetti erano gli strilli di Viola (il nome della bimba), questo ha
detto in paese, che lo infastidivano e non lo facevano più dormire, come
se un neonato potesse urlare a squarciagola e svegliare un quartiere.
Ma una bimba di un mese "fa gola" a chi, invece di verificare per
rendersi conto di quanto gli è stato riferito, vuole sistemare le cose e
non farla soffrire. Ed è così che la denuncia del vicino fa scoprire
l'età della madre, troppo anziana, e quel fiocco rosa ora pare piccolo e
sbiadito più di quanto non sia. Come se avere figli oltre i
cinquant'anni fosse vietato dalla legge, come se una madre di quell'età
fosse meno madre di una ragazzina di 18 anni.
Leggete cosa hanno scritto i giudici Donata Clerici, Federica Florio,
Alberto Astesano e Silvia Truffo, metto anche i loro nomi perché è
giusto si sappia chi sono. "I genitori non si sono mai seriamente
posti domande in merito al fatto che la figlia si ritroverà orfana in
giovane età e prima ancora sarà costretta a curare i genitori anziani,
che potrebbero avere patologie più o meno invalidanti, proprio nel
momento in cui, giovane adulta, avrà bisogno del sostegno dei suoi
genitori. Il frutto di un'applicazione distorta delle enormi possibilità
offerte dal progresso in materia genetica, e la volontà di concepirla, è
una scelta che, se spinta oltre certi limiti, si fonda sulla volontà di onnipotenza,
sul desiderio di soddisfare a tutti i costi i propri bisogni che
necessariamente implicano l'accantonamento delle leggi di natura e una
certa indifferenza rispetto alla prospettiva del bambino".
Ora io vorrei vedere gli stessi assistenti sociali andare a casa di Gianna Nannini per portarle via Penelope. Perché non vanno? Vorrei vedere gli stessi
giudici scrivere le stesse cose della diva del rock, che ha esattamente
la stessa età della madre di Viola, essendo nata nel 1954, Viola che al
contrario di Penelope un padre lo ha, perché a lei nessuno dice nulla ed
anzi gli si dedicano speciali sulle pagine patinate in cui si scrive
che forse presto farà un altro figlio? Disparità di misure, disparità di
pesi e di peso mediatico fra le varie famiglie, o si tratta di uno
schifo "operativo e giuridico sociale" che legge in maniera differente
la stessa situazione?
Ho scritto solo tre storie ma avrei potuto esagerare perché i casi, a
volte identici, sono moltissimi. Avrei potuto scrivere di Paola che
abita a Falconara Marittima, di suo figlio di undici anni prelevato un
mese fa senza vero motivo da scuola, la madre lavora in ospedale ed ha
l'unica colpa di essere "single". Avrei potuto parlare di Annamaria
Impicciché che dalle assistenti sociali era considerata troppo
sovrappeso per riuscire ad accudire la figlia. E proprio per risolvere
questo problema, per non rinunciare a sua figlia di 8 anni, decise di
ricorrere ad un intervento chirurgico. Quindi affidò la bimba alla nonna
ed entrò in ospedale dove, a causa di uno sbaglio, restò cinque mesi,
alcuni in coma, appesa ad un filo fra la vita e la morte. Ed è in questi
cinque mesi che i servizi sociali agirono portandole via sua figlia e
scrivendo sui fogli dati al giudice che la madre l'aveva abbandonata.
Annamaria lotta ancora, e sono passati quattro anni, per riaverla. Avrei
potuto parlare di Maria Cristina Conte che da tre anni non vede il
figlio Kristian ed ha anche querelato il giudice del tribunale minorile
di Lecce "Maria Rita Verardo. Avrei potuto parlare di Silvia Pini che
dopo aver chiesto aiuto alle assistenti sociali ora può vedere sua
figlia solo tre volte la settimana.
Avrei potuto parlare di mille altri, e mi scuso se non posso inserirli
tutti, mille altri casi che hanno un solo denominatore, quello che porta
gli assistenti sociali ad essere paragonati a quegli zingari che i
genitori di un tempo temevano perché davvero rapivano i loro figli. Ed
il guaio non si ferma a questi assistenti senza scrupoli, il guaio dei
genitori che si vedono portare via una parte di loro stessi prosegue in
quei giudici che ogni mattina scordano a casa i polsi e non accennano a
dubbi quando vedono sulla scrivania un foglio timbrato dai Servizi
Sociali. Ed il guaio per tante mamme e papà è sempre lo stesso, il guaio
nasce dallo sbaglio iniziale. Siamo d'accordo, tanti bambini vivono
meglio lontano da famiglie che li umiliano, li violentano, famiglie che
non meritano e non vogliono avere figli accanto. Ma tante avrebbero solo
bisogno di un piccolo aiuto economico per far star meglio i figli, e
dare 2100 euro ad altri perché si prendano cura di un figlio amato dai
propri genitori è, oltre che un macabro gioco, uno spreco. Basterebbe
darne la metà alla madre del bimbo per migliorare la situazione,
basterebbe usare un po' più spesso il cuore e la razionalità per
migliorare la vita dei bimbi.
Visto quanto sopra mi chiedo se mai ci sarà chi avrà il coraggio e la
forza di mandare in un istituto idoneo quella minoranza che ogni volta
si avventa come un fulmine a ciel sereno su una famiglia e chi, senza
chiedere chiarimenti, decide della vita altrui accettando relazioni
palesemente false. Chiedo troppo o chiedo il giusto?
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