Il suicidio è una tragica e perenne soluzione per un temporaneo problema.
Chi tenta il suicidio
- si sente del tutto privo di speranza
- parla di suicidio, seppur metaforicamente.
- ha molti pensieri di morte.
- si allontana dagli amici.
- riduce di molto le attività sociali.
- si veste e vive sciattamente.
- si sente oppresso da sensi di colpa e vergogna.
- ha dei cambiamenti di abitudini tendenti all’isolamento.
- ha una scarsa stima di sé.
Più che un giudizio, essi hanno bisogno di essere ascoltati, capiti, sostenuti nelle loro personali ed esistenziali problematiche. Per loro la morte sembra la soluzione migliore alle loro sofferenze; se solo potessero aspettare un altro momento, scoprirebbero nuove modalità risolutive ai loro dolori. Sono illuminanti quei casi di persone, anche famose, che in un momento di disperazione, avevano tentato di farla finita con la loro vita e che, non essendoci riuscitici, dopo hanno benedetto quel momento perché mai e poi mai l’avrebbero ripetuto.
Il suicidio non è quasi
mai una decisione improvvisa, ma il punto di arrivo di lunghi e
tortuosi ragionamenti.C’è una prima fase in cui la morte è percepita
positiva perché fa finire una sofferenza pesante. Non esiste una vera e
propria intenzionalità, ma esso è visto come possibile soluzione a
situazioni insopportabili. Il suicidio viene visto come un sollievo,
come una fantasia romantica in cui la persona prepara tutto con nuovi
vestiti, quantità di barbiturici, saluti
finali. Nella seconda fase l’aspirante suicida si trova contrastato da varie ambivalenze fra vivere e morire, fra disperazione e speranza.
Nella terza fase si è già maturata l’idea di sopprimersi. Per fortuna non sempre riesce e l’istinto di sopravvivenza ha il sopravvento.
Analizzando le persone che si sono suicidate si nota che alcuni hanno sofferto di gravi disturbi psichiatrici, altri di dipendenza da alcool, altri di gravi malattie, ma la stragrande maggioranza è formata da persone che soffrono di depressione.
finali. Nella seconda fase l’aspirante suicida si trova contrastato da varie ambivalenze fra vivere e morire, fra disperazione e speranza.
Nella terza fase si è già maturata l’idea di sopprimersi. Per fortuna non sempre riesce e l’istinto di sopravvivenza ha il sopravvento.
Analizzando le persone che si sono suicidate si nota che alcuni hanno sofferto di gravi disturbi psichiatrici, altri di dipendenza da alcool, altri di gravi malattie, ma la stragrande maggioranza è formata da persone che soffrono di depressione.
Le motivazioni che spingono le persone a pensare al suicidio sono:
1)Motivi esistenziali.
La persona che medita sul suicidio non sempre sta soffrendo di depressione, ma si sente vuota, spenta e vive senza dare senso alla vita. Dietro la facciata della normalità, egli nasconde un’insoddisfazione totale, non crede più in se stesso e negli altri e si mostra cinico nei
riguardi degli eventi della vita. Egli vive come in uno stato di silenziosa disperazione; la vita non è più per lui come un dono, ma come un vano affaccendarsi prima della morte. In questi casi non c’è una conclamata disperazione, ma uno strisciante andamento esistenziale poco esaltante. Anche se non esiste una profonda depressione, emerge una propria aridità e incapacità di innamorarsi della vita e questo vuoto viene accettato come emblema del suo esistere. La morte giungerebbe come ad eliminare questo senso di svuotamento totale.
2) Motivi di disperazione.
Il suicida sembra essere frastornato:
■ o dal desiderio di una vita diversa, senza sofferenze insopportabili
■ o dal desiderio di uccidere ( suicidio passionale)
■ o dal desiderio della punizione che deve subire per riparare
l’incapacità di soddisfare le istanze dell’ideale dell’io.
Egli vive in un guazzabuglio di sentimenti contrastanti di amore/odio per se stesso o per l’oggetto delle sue attenzioni deluse. La persona che pensa al suicidio si sente disperata per la perdita di una persona cara o per una delusione avuta in un settore su cui aveva puntato
molto. Tali delusioni possono sembrare banali agli occhi degli altri, ma contribuiscono pesantemente a costruire la propria immagine. Subire una bocciatura scolastica, una delusione d’amore, una rottura di amicizia, può far pensare che non si è amabili, che difficilmente qualcuno si innamorerà di noi e che si è dei falliti in campo professionale. Il depresso facendo un bilancio negativo della sua vita e non prevedendo alcun miglioramento nel prossimo futuro, pensa che la cosa migliori sia porre fine alle proprie sofferenze chiudendo con la vita. Altre volte il suicidio ha delle motivazioni “altruistiche”. Si crede che
la loro fine potrà giovare e alleviare l’esistenza dei propri cari e dei propri parenti. Questa sfumatura appartiene, per la maggior parte, agli anziani che si vedono sul fondo di un letto e che non vogliono essere di peso ad alcuno.
3) Motivi di vendetta.
Alcune volte il gesto del suicida denota un significato di vendetta per l’indifferenza o la cattiveria cui è stato oggetto. Egli non sentendosi amato e considerato dalle persone che lo circondano, ha vissuto sotto il peso insostenibile di tale freddezza. Quando tale sofferenza persiste
lungamente nel tempo e si aggrava, si tenta di colpire, con il suicidio, le persone che sono considerate responsabili di tutto ciò. Esse possono essere
i genitori,partner, amici, ex fidanzati. E’ un gesto estremo che vuole esprimere una grande rabbia ma anche una richiesta d’amore. Richiesta che non è stata espressa negli anni e che non è stata soddisfatta in vita. Il tentativo suicida è una maniera per ottenere da morto quello che non si è avuto da vivo.
4) Motivi di ricongiungimento.
Questa modalità comportamentale riguarda parecchie persone che soffrono maledettamente per la perdita di una persona cara e il loro dolore sembra inconsolabile. Esse pensano di ricongiungersi con l’amato nell’aldilà. A questa categoria appartengono quei giovani che hanno perso la loro fidanzata in incidenti stradali e si sentono di colpo deprivati dell’amore appagante; gli anziani che assistono alla perdita del proprio partner e che ne sentono la mancanza a tal punto da desiderare un ricongiungimento nell’altra vita. In questo modo la loro fantasia li proietta in un futuro meno angosciante perché sarà pieno di tutto ciò che gli manca: l’oggetto del loro amore.
Il suicidio può essere evitabile. I soggetti ad alto rischio, come gli anziani che soffrono di malattie debilitanti, i giovani che hanno subito delle forti delusioni d’amore, gli adulti che si ritrovano con un pugno di mosche, sia a livello professionale che affettivo, possono essere anticipati nei loro disegni suicida e ricevere trattamenti adeguati in grado di dare nuove speranze alle loro fatali intenzioni.
L’atto suicida riuscito si riscontra di più negli uomini, mentre per le donne sono più numerosi i tentativi che fortunatamente non vanno a segno. Gli uomini quando ci provano, ci riescono; le donne invece, anche se hanno il primato dei tentativi, non ci riescono. Il tutto è spiegabile per il fatto che le donne hanno più rapporti interpersonali con altre amiche e che riescono quasi sempre a comunicare quello che stanno tentando. Gli uomini, essendo più riservati, chiusi, meno propensi culturalmente a parlare dei propri problemi e dei propri guai, mettono in atto i loro comportamenti senza darne preavviso, o senza essere capiti nelle loro intenzioni. La maggior parte dei tentativi di suicidio è frutto di impulsività e non di ferma e deliberata intenzione. Lo si può fare, anche, per riconquistare una vecchia fiamma, per far sentire in colpa qualcuno, per attirare l’attenzione, per una liberazione catartica della sofferenza. Quasi sempre, chi attua un tentativo suicida, non pensa che non si possa ritornare alla vita; lo attua impulsivamente e come atto momentaneo. La statistica ci sottolinea che esso avviene di più tra i divorziati, i single che non hanno una vita soddisfacente a livello sociale, tra gli
anziani che si sentono soli, tra chi soffre di disturbi mentali, tra chi ha problemi di alcool. Il leit motiv di fondo in tutte queste categorie di persone è l’estrema solitudine psicologica in cui versano e che attanaglia la loro esistenza.
Il vero scopo del suicidio non è tanto il morire, ma il volersi liberare dal dolore lancinante che ha invaso la propria vita.
Le modalità di attuazione del suicidio sono l’impiccagione, colpo d’arma da fuoco, per precipitazione, per avvelenamento da farmaci.
I familiari e gli amici che vogliono contribuire ad evitare che il depresso possa pensare a ciò e che si pongono come punti di riferimento positivi , possono:
♥ incoraggiare la persona ad esprimere i propri bisogni e ascoltarlo con empatia.
Il depresso deve percepire che è preso sul serio nella sua sofferenza e che c’è qualcuno che si occupa di lui.
♥ evitare di criticare o moralizzare sentimenti e gesta, ma infondere il senso del passaggio della bufera.
♥ evitare di ribattere le loro lamentele, inneggiando alla vita; è controproducente.
♥ evitare di atteggiarsi a psicologi che vogliono analizzare le loro motivazioni o che li incitano ad eseguire quello che hanno comunicato. E’ troppo rischioso e si può creare una sorta di sfida fatale.
♥ suggerire delle alternative di strategie per la soluzione dei problema che attanagliano il depresso. Se non altro serve ad allargare il campo percettivo delle risoluzioni.
♥ esprimere il vostro sentimento nei confronti di ciò che state percependo o vivendo.
♥ evitare di credere che chi lo dice non lo farà; è una falsa convinzione.
♥ se la persona comunica la sua decisione, è opportuno proporgli o condurlo da un dottore della salute che lo aiuti nel dirimere il senso di angoscia.
♥ esprimere a parole e con i comportamenti che non lo lascerete da solo, perché gli volete bene.
♥ indurlo a contattare un professionista del settore dopo che la crisi è passata. Le sole nostre parole potrebbero non bastare più per la sua condizione psicologica.
La reazione familiare al suicidio di un suo membro è devastante.
Il primo sentimento che emerge è il senso di colpa nei suoi confronti oper quello che avrebbero potuto fare/non fare, o per quello che avrebberodovuto fare/non fare.Allo stesso tempo insorge, pure, un senso di rabbia per quello che hafatto, per non aver parlato,per non aver seguito i suggerimenti dati.Un altro sentimento è l’angoscia e il dubbio che ciò si possa ripetere in un altro suo membro; sarebbe l’ammissione che ci sia qualcosa di patologico
in quella famiglia e tra i suoi membri.
Serpeggia, anche, un senso di vergogna nei riguardi della percezione dei vicini di casa e del loro giudizio. Ci si sente complice indiretto dell’atto e ci si trova a dover gestire il fiume di domande che ineluttabilmente ci assalgono nella mente.
Se solo avessi…
Andare a cercare i veri motivi dell’atto suicidarlo è forviante e poco rassicurante per il familiare, perché rimane sempre il dubbio di quello che si sarebbe potuto fare e che non si è fatto. Non parliamo, poi, del congiunto. Egli si tormenterà in continuazione attribuendo ogni litigio, incomprensione, comportamenti, a fattore precipitante del gesto fatale. Gli rimane un senso di impotenza e di diffusa tristezza per quanto successo.
In simili casi è opportuno seguire una psicoterapia per elaborare il lutto familiare, la perdita affettiva, l’emergere dei sensi di colpa, onde evitare di protrarre per anni una vita pesante e angosciante.
Dal testo del Dr. Di Carlo: La gioia di vivere, ed.Aurelia.
Mi ci vedo un po' in questo brano sopra riportato...
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