Pubblicità e stereotipi di genere: come tutelare l'immagine di donne e bambine
Non è raro vedere campagne e pubblicità che ledono l'immagine di
donne e bambine, proponendo stereotipi che alimentano le discriminazioni
di genere. Per invertire questa tendenza occorre creare una nuova
cultura della responsabilità sociale d'impresa. Milano, rivolto a responsabili della
comunicazione delle aziende e creatori di contenuti, ha avviato una
riflessione sul tema proprio con questo obiettivo: stimolare il
confronto tra tutti coloro che si occupano di comunicazione per cambiare
la cultura della responsabilità sociale d'impresa e assicurare la
tutela dell'immagine di donne e bambine.
All'incontro, organizzato da Terre des hommes e coordinato da Massimo Guastini, presidente dell'associazione Art directors club italiano
(ADCI), sono intervenuti Francesca Zajczyk, delegata del sindaco
Pisapia per le pari opportunità, Paolo Ferrara, responsabile della
comunicazione e della raccolta fondi di Terre des hommes, Vincenzo
Guggino, segretario generale dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria (IAP) e altri esperti.
Guggino ha parlato, tra le altre cose, delle caratteristiche del sistema autodisciplinare italiano e degli articoli 10 e 11 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale.
Il primo sancisce che «la comunicazione commerciale non deve offendere
le convinzioni morali, civili e religiose», «deve rispettare la dignità
della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni
forma di discriminazione, compresa quella di genere», mentre il secondo è
dedicato alla tutela dell'immagine dei bambini e degli adolescenti. I
singoli consumatori o le associazioni di consumatori che ravvisino delle
violazioni alle norme del Codice possono inoltrare le loro segnalazioni
al Comitato di controllo dell'Istituto dell'autodisciplina
pubblicitaria. Alle aziende che diffondono messaggi lesivi dell'immagine
di donne o bambini il Comitato di controllo ingiunge la cessazione
della diffusione della comunicazione commerciale.
Il Codice non prevede, invece, la possibilità di infliggere sanzioni
economiche a carico delle aziende. Una lacuna che è stata definita da
più relatori come un grave problema del nostro sistema autodisciplinare.
«Dobbiamo introdurre pesanti sanzioni economiche a carico delle imprese
che veicolano messaggi lesivi dell'immagine di donne e bambine e fare
in modo, così, che la pubblicità sessista diventi un pessimo affare», ha
detto Annamaria Testa, docente di linguaggi della comunicazione
all'Università Bocconi di Milano. Lo stesso concetto è stato ribadito da
Guastini. Entrambi i relatori hanno fatto riferimento al Global gender gap report 2012, rapporto internazionale del World economic forum
che rileva le differenze tra uomini e donne in materia di criteri
economici, grado di formazione, salute e rappresentanza politica,
fornendo una classifica che comprende 135 Paesi nel mondo. Nel rapporto
l'Italia occupa l'80esimo posto, una posizione peggiore rispetto agli
anni precedenti. Per quanto riguarda, in particolare, la partecipazione
delle donne all'economia e le opportunità offerte, il nostro Paese
risulta al 101esimo posto.
«Superare gli stereotipi diffusi dalle pubblicità sessiste è un buon
affare, vuol dire avere di fronte orizzonti narrativi bellissimi, storie
vere che emozionano», ha sottolineato Testa. «Le aziende devono
raccontare le donne reali, contemporanee. Solo così possiamo ottenere
una maggiore empatia con lo spettatore. Superando gli stereotipi
restituiamo dignità alla pubblicità e ristabiliamo un patto tra imprese e
consumatori». Rossella Sobrero, presidente di Koinètica, è intervenuta
sulla responsabilità sociale delle imprese: «le aziende sono inserite in
un sistema. Per cambiare la cultura non basta che le imprese
socialmente responsabili facciano la loro parte, ma è necessario fare
rete tra tutti i soggetti che si occupano di comunicazione».
Il workshop Gli stereotipi di genere in comunicazione ha
offerto l'occasione per approfondire un altro argomento di grande
attualità: la rappresentazione degli stereotipi di genere nella
pubblicità per l'infanzia. Il tema è stato affrontato da Francesca
Romana Pugelli, docente di psicologia sociale all'Università Cattolica
di Milano. «I bambini cercano qualcuno che risponda alle loro domande.
Ai più piccoli piace la pubblicità, anche perché propone dei modelli in
cui si possono identificare», ha spiegato la docente. «Quando gli adulti
guardano la televisione sono più rilassati e meno attenti a una lettura
critica delle immagini. Lo stesso discorso vale ancor più per i
bambini: per loro è difficile individuare gli stereotipi veicolati dalle
immagini proposte in tv, che sono molto presenti nella pubblicità per
l'infanzia. Le bambine, ad esempio, compaiono all'interno delle case,
mentre i maschi appaiono spesso nei luoghi aperti».
Lorella Zanardo, coautrice del documentario Il corpo delle donne e dell'omonimo libro edito da Feltrinelli e ideatrice del percorso educativo Nuovi occhi per la tv,
ha parlato del lavoro che sta portando avanti nelle scuole per aiutare i
ragazzi a sviluppare uno sguardo critico verso i contenuti proposti
dalla televisione. «Molti adulti e ragazzi chiedono che i media
rappresentino la realtà. Per questo proponiamo due azioni: fare in modo
che la tv rappresenti la società in modo più veritiero e dare strumenti
di educazione ai media». Nuovi occhi per la tv prevede due tipologie di corsi di media education: una rivolta ai formatori e l'altra agli studenti delle superiori.
Il workshop - a cui ne seguiranno altri, sempre sullo stesso tema - è stato organizzato nell'ambito della campagna Indifesa,
promossa da Terre des hommes per garantire alle bambine di tutto il
mondo istruzione, salute e protezione dalla violenza, a partire da
interventi sul campo volti a prevenire e combattere abusi e
discriminazioni di genere. La campagna, presentata lo scorso ottobre, ha
previsto varie attività. Fra queste, incontri di sensibilizzazione e
prevenzione della discriminazione di genere nelle scuole, l'appello Diritti umani senza frontiere
- lanciato insieme all'Istituto degli Innocenti di Firenze per chiedere
un'estensione della competenza legislativa dell'Unione europea a tutte
le violazioni dei diritti umani, così da permettere una risposta
omogenea, pronta ed efficace della Ue alle diverse forme di
discriminazione e violenza sulle bambine – e la Carta di Milano per il rispetto delle bambine e dei bambini nella comunicazione.
Gli stereotipi di genere non riguardano solo il mondo della
pubblicità e della televisione, ma anche quello dell'editoria
scolastica. Un'interessante ricerca sul tema è stata condotta da Irene
Biemmi, autrice del volume Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri di testo delle elementari, che riporta, nella seconda parte, i risultati dell'indagine.Nel numero 1/2011 della rivista del Centro nazionale Cittadini in crescita
è pubblicata un'intervista all'autrice sugli stereotipi di genere che
parte proprio dagli spunti di riflessione offerti dal volume.
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