27 gennaio 2013

LE DOMANDE DEI GENITORI

              

Le domande dei genitori 

Papà e nonna lo viziano, come posso impedirlo? 

Ho un maschietto di due anni: il papà e la nonna paterna lo sommergono di regali costosi, che però il piccolo accantona quasi subito. Non voglio che cresca nella convinzione che tutto gli sia dovuto e nell’esaltazione dei beni materiali, come suo padre che, da bambino viziato qual è stato, è diventato un adulto sempre insoddisfatto di quello che ha. Come farlo capire a mio marito e a mia suocera?
È vero: la tendenza a sommergere un bambino di giocattoli è spesso la spia di un atteggiamento verso i beni materiali e verso la vita che il piccolo rischia di assorbire, diventando un ”eterno scontento”.Colmandolo di regali, gli si infonde un senso di saturazione che gli impedisce di avere dei desideri e di esprimerli nella fantasia del gioco: di qui il senso di noia e di inutilità che prova, dopo il piacere della sorpresa. Cerchi di spiegare, soprattutto a suo marito, che il bambino ha bisogno di poter inventare non solo i suoi giochi, ma i suoi giocattoli, creandoli con oggetti che stimolano la sua fantasia. L’amore per la vita nasce proprio dal desiderio di qualcosa che ancora non c’è e che si cerca di realizzare utilizzando l’immaginazione e la creatività, come avviene nel gioco.
Perché non può fare a meno di un oggetto particolare?
Nostro figlio Matteo, di due anni e mezzo è un bambino sensibile e insicuro. Quando si sente in crisi, ”ciuccia” il dito stringendo in mano un pigiamino di flanella smesso da tempo. Una settimana fa abbiamo preso l’aereo per andare a Palermo dove risiedono i nonni e, spaventato per il decollo, Matteo ha chiesto il suo ”titti”. Purtroppo, nel trambusto della partenza, lo straccetto era andato perduto. Non le dico gli strilli! A quel punto mio marito si è arrabbiato moltissimo e mi ha accusato dicendo che, se il bambino è nevrotico, è perché io l’ho protetto e viziato troppo. Sento che non è vero ma non so cosa rispondergli.
Cara Monica, rassicuri suo marito perché l’esistenza di un oggetto ”del cuore”, che gli psicologi chiamano ”transizionale”, costituisce un segno positivo, l’esito di una buona crescita affettiva. Significa che il bambino ha stabilito un rapporto forte e ricco con la mamma e che, dovendo progressivamente affrontare il distacco richiesto dai processi di maturazione, ha saputo creare un simbolo che la rappresenti. Vedrà che, a suo tempo, questo viatico sarà improvvisamente abbandonato ma nel frattempo si sarà costituito, intorno a lui, lo spazio della fantasia, del gioco, della creatività, dell’innamoramento. Risorse che rendono la nostra vita più umana e più ricca.

Non sopporta che gli si tocchino i giocattoli
Il nostro Yuri, quasi tre anni, è una piccola peste dal carattere forte. È intelligente, ma non accetta imposizioni. Ed è terribilmente possessivo con i suoi giocattoli: guai se glieli toccano. Se succede, diventa aggressivo anche con i bambini più grandi. Fra poco andrà all’asilo e siamo preoccupati. Che consigli puoi darci?
Cari Barbara e Nazzareno, è naturale, all’età di Yuri, provare un forte sentimento di possesso dei propri ”beni”. A tre anni, i giocattoli sono infatti vissuti come parti di sé, e se qualcuno se ne impadronisce i bambini si sentono quasi ”mutilati”. Non solo, ma spesso vogliono i giocattoli degli altri senza tenere in alcun conto le loro proteste. L’incoerenza di questi comportamenti riflette l’egocentrismo di una logica infantile centrata esclusivamente sull’Io. Ci vorrà tempo perché maturi la capacità di tenere conto anche del punto di vista degli altri, di mettersi nei loro panni, sviluppando così un senso di reciprocità e di generosità. Cercate di minimizzare il problema, distraendo Yuri con altre proposte di gioco quando si impunta sul possesso di un particolare giocattolo, suo o altrui. L’esperienza della materna favorirà lo sviluppo di quei sentimenti sociali che aiutano a superare l’egocentrismo infantile.

La Barbie®: bambola diseducativa?
Da quando Elena va all’asilo la ”famosa” Barbie®, che prima aveva sempre ignorato, è la sua passione: tutte le sue compagne ce l’hanno. Penso che per una bambina giocare con una bambolina così leziosa e consumista sia diseducativo: ma Elena con le sue insistenze mi sta stremando.
Capisco la tua avversione per la Barbie®, ma non condivido il tuo ostracismo. Come molti oggetti di consumo, fa parte dei ”miti” più o meno criticabili del nostro tempo e non è con una rigida censura che metti al riparo tua figlia dai suoi possibili effetti negativi. Al contrario, ora che all’asilo la vede in braccio alle compagne, se non potrà averla si sentirà ingiustamente privata di qualcosa di importante. La Barbie® diventerà così un oggetto del desiderio ”proibito”. Se invece gliela regali, diventerà un giocattolo come tanti, magari con un investimento affettivo in più, come succede alle bambine con le bambole. Non sarà certo giocando con la Barbie® che Elena si identificherà in un modello femminile lezioso. Molto più della bambola conta il tipo di cultura che assorbe in famiglia. E il modello di femminilità che le propone la madre.


I giochi ”educativi” lo rendono più intelligente? 
Ho un bambino di due anni e mezzo, Davide. Parlando con le mie amiche, che hanno figli della stessa età, mi è venuto il dubbio di non avere come loro la capacità di giocare insieme al mio bambino. Fin da piccolo Davide ha mostrato grande fantasia, inventando giochi diversi, magari con lo stesso oggetto, spesso banale. Anche adesso, che ha sviluppato una grande passione per i modellini, in particolare i camion, gioca quasi sempre da solo, inventando percorsi che costruisce con libri e altri oggetti. Solo quando è stanco di giocare cerca la compagnia dei nonni, che lo accudiscono di giorno, o quella mia e del padre alla sera. Ma se gli proponiamo qualcosa ”insegnarli a dipingere, leggergli un libro”, preferisce sfogliare insieme i suoi libri preferiti o guardare la sua videocassetta del momento. È giusto lasciarlo giocare da solo, intervenendo solo quando ce lo richiede? O è meglio insistere perché faccia giochi più ”educativi”, imparando, per esempio, a distinguere le lettere e i numeri, come fanno le mie amiche con i loro figli?

Cara Paola, mi sembra che Davide sia un bambino delizioso, capace di giocare con fantasia e creatività, proprio come un piccolo artista. Sarebbe quindi dannoso e riduttivo distoglierlo da questo lavoro mentale, ad alto contenuto immaginativo ed emotivo per incentivare processi intellettuali di tipo razionale, inadatti a questa età. Nel gioco che lo appassiona, quello del camion che affronta percorsi accidentati e li supera, Davide rappresenta probabilmente anche le difficoltà che sta vivendo nel cercare di non deludervi e nello stesso tempo di non rinunciare ai suoi desideri e alle sue inclinazioni. Non spingetelo a competere con i figli dei vostri amici stimolando forme di apprendimento precoce, a un’età in cui i percorsi di conoscenza sono spontanei e non vanno forzatamente indotti dagli adulti. Lasciamo ai piccoli almeno tre anni di libertà, di gioco spontaneo, creativo, di fantasia, prima che la scuola li metta progressivamente in riga. Cercate quindi di apprezzare e valorizzare Davide per quello che è, e non per quello che ”dovrebbe essere”.



Ai libri preferisce il gioco
Ho cercato di insegnare a leggere a Dora, tre anni e mezzo, come sta facendo una mia amica con suo figlio. Ma, pur essendo curiosa e intelligente, non sembra molto interessata: preferisce giocare. È il caso di insistere?

Non è proprio il caso di distogliere i bambini dal gioco. Come ha scritto il filosofo Montaigne, il gioco è il lavoro più serio dell’infanzia. Mette in moto la fantasia, affinando una forma di intelligenza ”creativa” più utile di qualsiasi apprendimento precoce.


Litigano fra loro? Non interferite
Anche quest’anno in agosto andremo in vacanza in camper con nostro figlio Marco, tre anni e mezzo, e una coppia con un bimbo della stessa età. Marco è felice di ritrovare il suo piccolo amico. Ma già tremo all’idea dei litigi che scoppieranno tra loro, come è già successo l’anno scorso, coinvolgendo quasi inevitabilmente anche noi genitori. Quando questo avverrà, è meglio intervenire o lasciare che i bambini se la sbrighino da soli, ora che non sono più così piccoli?

Cara Carla, a due, tre, quattro anni i bambini sono ancora così egocentrici che non riescono a mettersi nei panni dell’altro e ad accettare il suo punto di vista. Proprio per questo, quando giocano insieme, è quasi inevitabile che si mettano a litigare, spesso in modo violento, per i motivi più futili, per poi tornare rapidamente amici come prima . In questo alternarsi di alleanze e di conflitto, di sentimenti di amore e di odio, il rapporto tra coetanei rappresenta un terreno di crescita in cui il gioco si svolge tra pari, in un mondo a parte che appartiene ai bambini e nel quale è bene che gli adulti interferiscano il meno possibile. Meglio, quindi, lasciare che se la sbrighino da soli, intervenendo soltanto quando la situazione rischia di degenerare, come succede quando il più forte prevale sul più debole.



A ciascuno il suo gioco
Mio figlio Matteo, quattro anni, frequenta una scuola materna privata. Recentemente le insegnanti mi hanno detto che probabilmente soffre di un disturbo dell’attenzione: hanno notato, infatti, che quando disegna si distrae e non finisce il compito. A casa invece si appassiona ai giochi come la pasta da modellare, le costruzioni, i numeri. E, soprattutto, li porta a termine. Io penso che non sia ”tagliato” per il disegno, mentre ha più interesse per i numeri e le lettere dell’alfabeto, che cerca di imparare da solo. È giusto costringere un bambino a svolgere un’attività per la quale non è portato, come il disegno?
Cara Cristina, da alcuni anni nella scuola materna si cerca di sviluppare il talento degli alunni, anziché limitarsi, come in passato, a farli giocare. È giusto quindi favorire l’espressione della creatività infantile attraverso il disegno e la pittura. Senza però richiedere ai bambini un ”rendimento scolastico” a un’età in cui non sono ancora in grado di assumersi questa responsabilità. È probabile quindi che Matteo rifiuti di portare a termine i suoi ”compiti” non solo perché non è portato per il disegno, ma anche perché li sente come una imposizione, alla quale tenta di sfuggire dedicandosi ad altri giochi, da lui scelti liberamente. Se a casa si impegna con giochi da tavolo come la pasta da modellare, il collage, gli acquerelli e li porta a termine, vuol dire che non soffre di alcun deficit di attenzione. Sono le insegnanti, piuttosto, che dovrebbero essere meno rigide e più tolleranti nei suoi confronti, lasciando che scelga spontaneamente gli strumenti espressivi che preferisce. Non a caso Matteo frequenta ancora la scuola materna e non quella dell’obbligo: c’è dunque ancora tempo per il problema dei compiti!


Non tollera che si danneggino le sue costruzioni
Abbiamo due figli, Beatrice di 13 mesi e Federico di cinque anni. Il più grande è un bambino vivace e intelligente, non particolarmente mammone, con la tendenza a comportarsi da ”grande” di fronte a situazioni difficili. Ha una buona manualità e si dedica con grande passione alle costruzioni con i mattoncini di plastica, di cui va molto fiero. Ma se vengono danneggiate, come può succedere accidentalmente, reagisce con pianti disperati e crisi di rabbia che cominciano a preoccuparci. Sembra un problema futile. Ma resta pur sempre il dubbio: c’è qualcosa che ci sfugge?                                                                    

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