Orrore in ospedale Un feto morto finisce tra i rifiuti
Era di 22 settimane, quindi per la legge non ancora un "cadavere". I genitori avevano chiesto l'inumazione consentita e ora denunciano
Partorire una bimba sapendo di averla già
persa. E poi scoprire l'orrore di non poter nemmeno seppellire quel
piccolo corpo venuto al mondo senza vita. Perché quell'esserino, morto ancora prima
di uscire dalla pancia della sua mamma, dopo solo 22 mesi di
gravidanza, nessuno sa che fine abbia fatto. Smarrito tra i corridoi
dell'ospedale, banalmente perso neanche fosse un camice, un bisturi, un
oggetto qualunque che passa da un reparto all'altro nella disattenzione
generale. Questa storia di malasanità, in cui alla tragedia di far
nascere un essere già non più in vita si unisce il paradosso di non
poterne piangere la morte, comincia a settembre, in Sardegna, provincia
di Carbonia.
Una donna di Calasetta perde la sua bimba mentre la porta ancora in grembo. Siamo alla 22esima settimana, la piccola pesa solo 250 grammi ma il suo corpicino - in miniatura, dimensioni tra i 20 e i 25 centimetri - è ormai formato: braccia, gambe, tutto. La gravidanza è troppo avanzata per fare il raschiamento e basta. In questi casi è prevista l'induzione al parto. Tredici ore di travaglio, senza la gioia finale di stringere al petto una vita nuova. Alla fine i medici dell'ospedale Sirai di Carbonia dicono alla donna e al marito che ci sono due opzioni: possono occuparsi da soli della sepoltura, oppure firmare un modulo e delegare tutto all'azienda sanitaria. Poi alla coppia sarebbe stato comunicato dove si trovava la tomba della figlioletta. E, superato lo shock, se lo avessero ritenuto, i coniugi avrebbero potuto spostarlo altrove. Marito e moglie sono troppo provati per reggere anche la burocrazia: si fidano, firmano la pratica.
Una settimana dopo tornano in ospedale. E comincia un nuovo incubo. Viene detto loro che la piccola è in camera mortuaria. Ma arrivati lì non trovano nulla. «Ci hanno avvisato che la portavano, ma non è arrivata», dicono dall'obitorio. Allora tornano indietro, chiedono ancora, girano reparto per reparto: niente. Ognuno stringe le spalle, un rimpallo di responsabilità senza via d'uscita. Qualcuno dice che è stata rispettata la procedura e la bimba è stata già sepolta. Ma non si sa dove. La coppia setaccia i quattro cimiteri della città, cerca lapide dopo lapide quella figlia mai avuta e che, ora, non può neanche rimpiangere. Arriva la voce che è stato seppellito un neonato nella frazione di Cortoghiana. Illusione: arrivati in quel cimitero scoprono che si tratta di un maschietto. Il sospetto peggiore arriva quando i due si rivolgono ai servizi sociali di Calasetta. È allora che, anche se dall'ospedale non è arrivata nessuna dichiarazione ufficiale, qualcuno prospetta l'ipotesi agghiacciante: che il corpicino sia stato gettato via, insieme agli altri residui organici del parto. Buttato in un inceneritore, come spazzatura qualunque. La donna non ce la fa più: sporge denuncia ai carabinieri, racconta - con riserbo, senza far venir fuori il suo nome - la sua tragedia al quotidiano l'Unione Sarda. Lo fa «perché quello che è successo a me non capiti mai più. Nessuna mamma deve patire quello che soffre io», spiega attraverso i suoi avvocati Alberto Fois e Barbara Pintus.
Una storia talmente assurda che persino configurare l'ipotesi di reato, per il pm Andrea Massidda, non è facile. In teoria, per legge, un cadavere si definisce tale solo a partire dalla 28esima settimana di vita in poi. Ma nel caso di bimbi partoriti tra la 22esima e fino alla 28esima settimana - che tecnicamente non si considerano «nati morti» - è consentita l'inumazione. Le due ipotesi più probabili sono, quindi, distruzione di cadavere e omissioni di atti d'ufficio, oppure la più blanda distruzione di materiale abortivo.
Una donna di Calasetta perde la sua bimba mentre la porta ancora in grembo. Siamo alla 22esima settimana, la piccola pesa solo 250 grammi ma il suo corpicino - in miniatura, dimensioni tra i 20 e i 25 centimetri - è ormai formato: braccia, gambe, tutto. La gravidanza è troppo avanzata per fare il raschiamento e basta. In questi casi è prevista l'induzione al parto. Tredici ore di travaglio, senza la gioia finale di stringere al petto una vita nuova. Alla fine i medici dell'ospedale Sirai di Carbonia dicono alla donna e al marito che ci sono due opzioni: possono occuparsi da soli della sepoltura, oppure firmare un modulo e delegare tutto all'azienda sanitaria. Poi alla coppia sarebbe stato comunicato dove si trovava la tomba della figlioletta. E, superato lo shock, se lo avessero ritenuto, i coniugi avrebbero potuto spostarlo altrove. Marito e moglie sono troppo provati per reggere anche la burocrazia: si fidano, firmano la pratica.
Una settimana dopo tornano in ospedale. E comincia un nuovo incubo. Viene detto loro che la piccola è in camera mortuaria. Ma arrivati lì non trovano nulla. «Ci hanno avvisato che la portavano, ma non è arrivata», dicono dall'obitorio. Allora tornano indietro, chiedono ancora, girano reparto per reparto: niente. Ognuno stringe le spalle, un rimpallo di responsabilità senza via d'uscita. Qualcuno dice che è stata rispettata la procedura e la bimba è stata già sepolta. Ma non si sa dove. La coppia setaccia i quattro cimiteri della città, cerca lapide dopo lapide quella figlia mai avuta e che, ora, non può neanche rimpiangere. Arriva la voce che è stato seppellito un neonato nella frazione di Cortoghiana. Illusione: arrivati in quel cimitero scoprono che si tratta di un maschietto. Il sospetto peggiore arriva quando i due si rivolgono ai servizi sociali di Calasetta. È allora che, anche se dall'ospedale non è arrivata nessuna dichiarazione ufficiale, qualcuno prospetta l'ipotesi agghiacciante: che il corpicino sia stato gettato via, insieme agli altri residui organici del parto. Buttato in un inceneritore, come spazzatura qualunque. La donna non ce la fa più: sporge denuncia ai carabinieri, racconta - con riserbo, senza far venir fuori il suo nome - la sua tragedia al quotidiano l'Unione Sarda. Lo fa «perché quello che è successo a me non capiti mai più. Nessuna mamma deve patire quello che soffre io», spiega attraverso i suoi avvocati Alberto Fois e Barbara Pintus.
Una storia talmente assurda che persino configurare l'ipotesi di reato, per il pm Andrea Massidda, non è facile. In teoria, per legge, un cadavere si definisce tale solo a partire dalla 28esima settimana di vita in poi. Ma nel caso di bimbi partoriti tra la 22esima e fino alla 28esima settimana - che tecnicamente non si considerano «nati morti» - è consentita l'inumazione. Le due ipotesi più probabili sono, quindi, distruzione di cadavere e omissioni di atti d'ufficio, oppure la più blanda distruzione di materiale abortivo.
Nessun commento:
Posta un commento