A Francesco Tuccia i giudici regalano tanti bonus e lo condannano a otto anni di carcere giudicandolo solo per la violenza sessuale... e il tentato omicidio?
Se la famiglia non avesse protetto la
figlia, cercando per la sua stabilità mentale di mantenerla anonima e
isolata il più possibile dai media, ma avesse iniziato un bombardamento
mediatico fatto di continue interviste e atti di accusa, le cose al
tribunale de L'Aquila sarebbero andate in maniera diversa? Se i genitori
si fossero presentati dalle nostre intrattenitrici, pomeridiane e
serali, un giorno sì e l'altro pure, se in televisione ci fossero andate
anche le amiche e i parenti, c'era la speranza che Francesco Tuccia
finisse in carcere a scontare almeno quattordici anni, anziché i miseri
otto che si è ritenuto giusto infliggergli? Non lo possiamo sapere, ma
visto il silenzio calato in fretta su un fatto di cronaca che fa
guardare con altri occhi i propri figli, visti gli innumerevoli casi
trattati in maniera esponenziale e fatti ingoiare al pubblico senza
neppure addolcirli con una zolletta di zucchero, possiamo dire per certo
che la Difesa dell'imputato, in questo caso come in altri, ha goduto di
ampi margini su cui muoversi. Perché alla fin fine si sa che senza i
torbidi attacchi dell'opinione pubblica, la Difesa può non trovare
ostacoli insormontabili quando parla e cerca di convincere i giudici.
Non è giusto, dato che la giustizia dovrebbe operare al di sopra di ogni
condizionamento, ma è umano l'essere condizionati dal martellamento
continuo dei media. Come è umano credere che una convinzione nasca in
autonomia, che ogni parola udita o letta sia la stessa che da subito ci è
rimbalzata nella mente, che non sia la pubblicità che propaganda
l'informazione a condizionarci. Questo anche se la prova del nove ci
dice il contrario, ci dice che il silenzio mediatico agevola chi deve
difendersi e non la vittima. Io stesso ho ascoltato persone,
ultra-colpevoliste quando devono parlare di altri casi trattati
ampiamente dai media, dire: "Quella della discoteca? Se l'è cercata.
Cosa ci faceva in quel locale alle tre di notte? Cosa aveva bevuto? Se
stava a casa sua non le capitava niente. Va là che si ricorda cosa le è
capitato, è che non le conviene dirlo!". Frasi ridicole e stupide
che nascono da una mancata informazione, da una sottocultura retrograda
che vuole i maschi difendibili oltre ogni limite quando i loro reati
riguardano la sfera sessuale femminile. Non vorrei che al tribunale de
L'Aquila fossero entrati nello stesso ordine di idee. Se così non è, c'è
da dire che all'imputato sono capitati giudici di animo infinitamente
buono. Infatti a soli tre mesi dall'arresto un Gip gli ha concesso di
uscire dal carcere e di starsene ai domiciliari, mentre a processo altri
hanno completato l'opera regalandogli ogni bonus possibile e finendo
per considerare la violenza subita dalla giovane priva dei requisiti
necessari per aggravare una posizione processualmente critica.
La Difesa ha fatto la sua parte. Indossando la coda della volpe ha cercato di attenuare in ogni modo la posizione del proprio assistito. Puntando sull'alcool in maniera unidirezionale, lei non ha ricordi ed è stato facile creare nuove scene, ha cercato di portare una ricostruzione diversa che allievasse la colpa. In poche parole: gli avvocati, come prassi, si son fatti pompieri ed hanno gettato molta acqua sul fuoco creato dall'Accusa. Forse per questo i giudici non hanno visto il fuoco ed hanno sentenziato come se la ragazza alle tre e quaranta di quella notte non fosse appesa al filo del destino, quindi in pericolo di vita. Come se non fosse stata lacerata internamente, come se non fosse sanguinante oltremisura dietro un cumulo di neve. Come se non fosse stata fortunata a salvarsi, visto che è stata rinvenuta per caso dal titolare del locale andato anzitempo, mezz'ora prima del solito, a fare il giro di ispezione attorno alla discoteca. Insomma, hanno sentenziato come se il fatto fosse accaduto nell'ora di punta in una qualsiasi fermata della metro. Quindi, a dar ragione alla sentenza, per chi ha giudicato, anche senza l'intervento e l'aiuto datole dai buttafuori la ragazza non sarebbe morta, perché in grado di camminare con le proprie gambe, di salire su un'auto e di andare all'ospedale o, al limite, di chiamare un'ambulanza... ma quando mai?
La Difesa ha fatto la sua parte. Indossando la coda della volpe ha cercato di attenuare in ogni modo la posizione del proprio assistito. Puntando sull'alcool in maniera unidirezionale, lei non ha ricordi ed è stato facile creare nuove scene, ha cercato di portare una ricostruzione diversa che allievasse la colpa. In poche parole: gli avvocati, come prassi, si son fatti pompieri ed hanno gettato molta acqua sul fuoco creato dall'Accusa. Forse per questo i giudici non hanno visto il fuoco ed hanno sentenziato come se la ragazza alle tre e quaranta di quella notte non fosse appesa al filo del destino, quindi in pericolo di vita. Come se non fosse stata lacerata internamente, come se non fosse sanguinante oltremisura dietro un cumulo di neve. Come se non fosse stata fortunata a salvarsi, visto che è stata rinvenuta per caso dal titolare del locale andato anzitempo, mezz'ora prima del solito, a fare il giro di ispezione attorno alla discoteca. Insomma, hanno sentenziato come se il fatto fosse accaduto nell'ora di punta in una qualsiasi fermata della metro. Quindi, a dar ragione alla sentenza, per chi ha giudicato, anche senza l'intervento e l'aiuto datole dai buttafuori la ragazza non sarebbe morta, perché in grado di camminare con le proprie gambe, di salire su un'auto e di andare all'ospedale o, al limite, di chiamare un'ambulanza... ma quando mai?
Non è così, fosse rimasta un'altra mezz'ora stesa dietro quel cumulo di
neve sarebbe di certo morta, ma deve essere così, perché se avesse
rischiato di morire occorreva dar ragione alla Procura e considerare,
oltre alla violenza sessuale, anche il tentato omicidio. Però i giudici,
nonostante il ragazzo l'avesse lasciata agonizzante al freddo e fosse
già in auto pronto alla partenza, non hanno considerato gravi le
conseguenze che sarebbero potute derivare dalla violenza. Questo è
l'unico ragionamento che può spiegare la sentenza di chi ha creduto
prevalenti le attenuanti e scalato un minimo di sei anni di carcere al
Tuccia. Ma c'è da dire che per crederlo, devono aver visto un'altra
storia o immaginato un altro film. Per capire e farci un'idea degli
avvenimenti, guardiamo l'intervista fatta al responsabile della
sicurezza della discoteca "Guernica". Un'intervista che in pochi hanno
visto, un'intervista che fa capire cosa in realtà sia accaduto alla
ragazza e quante probabilità avesse di potersi salvare. Tanto per essere
chiari e per dare una informazione in più, quella notte all'esterno del
locale si sfioravano i dieci gradi sottozero... e chi è seminudo e
perde sangue, a quella temperatura perde molto velocemente il calore
naturale del proprio corpo.in Altre parole non servono. Giustizia a L'Aquila non c'è stata e per
ottenerla in appello serviranno altri giudici. Giudici che oltre al
carcere stabiliscano per l'imputato anche una serie infinita di sedute
psicanalitiche, così che qualcuno possa aiutarlo e fargli capire che la
vita umana è sacra, che è stato fortunato oltremisura perché senza
l'intervento dei buttafuori sarebbe diventato un assassino ed avrebbe
attirato i media in maniera esponenziale. Così fosse stato, non avrebbe
trovato giudici caritatevoli ed ora non sarebbe ai domiciliari ma chiuso
in un carcere a scontare una condanna all'egastolo.
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