07 febbraio 2013

STORIA DI STALKING VINCENZO MANDUCA

  

Vincenzo Manduca ha ucciso Lisa Puzzoli. Una storia di stalking... e le procure alzano bandiera bianca e non sanno che fare...

 

Vincenzo ha ucciso Lisa. Qualcuno si meraviglia? Io no, visto che su di me pende una querela nata dalla mia esuberanza nel difendere chi si è visto sfondare la porta di casa (mia nipote), sbattere a terra, anzi sulle scale (mia sorella), e portare via dalle braccia un figlio di neppure tre anni ancora in pigiama. Come me non si meravigliano tutte quelle persone che lo stalking lo hanno subito e lo stanno subendo. Uomini e donne che tremano ad ogni sms che ricevono, che si trovano il cuore in gola quando sentono suonare alla porta di casa e quando debbono uscire per andare al lavoro. Insomma, viste le tre denunce per stalking presentate da Lisa Puzzoli, pare quasi normale che questa tragedia, l'ennesima, si sia verificata. Il motivo è semplice da capire. In casi del genere si vive e si cammina in equilibrio precario. La vittima, se ne è capace, cerca di mediare, di restare calma per non innescare reazioni, non considerando in maniera ragionata che il molestatore non è in grado di controllare mentalmente i propri impulsi ed ha il "vaso della rabbia" colmo già in partenza. Non considerando che ogni goccia aggiunta trabocca ed esaspera la sua voglia di farsi "giustizia" per ciò che ritiene essere torti. E non è detto che la goccia non se la crei autonomamente nei suoi pensieri malati. Perché è fuor di dubbio che lo stalking, prima ancora che un reato, sia una malattia da curare in strutture idonee. Una mente sana non si metterebbe mai nella situazione di dover aggredire una persona in modo continuativo, né a parole né con le mani né con un coltello o una pistola, e la perseveranza di un simile comportamento fa sempre aumentare il disagio, non lo fa di certo scemare.
Eppure, nonostante sia chiaro che senza un drastico intervento il disagio si amplificherà aumentando le possibilità di nuove aggressioni, c'è ancora chi si meraviglia e crede di non poter far nulla. E' il procuratore di Udine, Antonio Biancardi. Lui ad un giornalista del "Il Gazzettino" parla di una vera e propria "emergenza stalking". Ne parla ma pare non se ne renda conto, oppure che abbia alzato le mani in segno di resa. Prima ci rende partecipi del suo lavoro, dichiarando che ogni settimana sulla sua scrivania arrivano decine di denunce per stalking, poi ci invita a un "fai da te" di tipo hobbistico. Ci invita all'autotutela, quasi basti andare a un "brico" qualunque per poter acquistare l'esperienza che serve ad evitare tragedie e omicidi. Le sue parole fanno intendere che sulle procure italiane sventolino, oltre che la bandiera nazionale ed europea, anche tante bandierine bianche: "Non possiamo mettere la scorta a tutti. L'unica misura efficace sarebbe la custodia in carcere, ma bisogna fare i conti con i poteri e i mezzi a disposizione di gip e pm. Al più si ottiene un divieto di avvicinamento, ma se uno vuole uccidere non basta di certo. Le vittime devono stare attente e tutelarsi. In casi del genere non bisogna avvicinarsi o comunque non è bene farlo da soli".
Grazie procuratore, ma le ricordo che a Palermo Samuele Caruso ha ucciso la sorella della sua ex fidanzata proprio a causa del suo consiglio. Spero che non tutti i suoi colleghi la ragionino come lei, spero ci sia chi presto inizierà a chiedere TSO (trattamenti sanitari obbligatori) psichiatrici e non un divieto di avvicinamento. Inoltre curare è meglio che mandare in galera, esperienza buona solo a far aumentare la rabbia e il rancore. A questo proposito le ricordo che a Terracina, Luigi Faccetti non appena uscito dal carcere (andando chissà perché ai domiciliari), ha ucciso chi non era riuscito ad uccidere con dieci coltellate poco tempo prima, Emiliana Femiano. Per quanto riguarda l'omicidio di Lisa Puzzoli, devo dirle che non tutta la colpa ricade sulla sua procura, che aveva in corso di istruttoria un nuovo fascicolo contro il ragazzo, che anche il Gip deve farsi un esame di coscienza, visto che nel 2010 non ha ritenuto che gli innumerevoli messaggi di minaccia del Manduca fossero atti persecutori e li ha archiviati sotto la scritta: "giustificati dalla questione relativa alla gravidanza". Come se le minacce continue si possano giustificare. 
Non è un Gip a dover giustificare, è l'avvocato che segue il ragazzo che deve cercare di alleviarne la posizione. Ed a questo servono le sue parole quando rammenta a tutti che Lisa non voleva far riconoscere la bimba al padre. Padre che ha visto per la prima volta sua figlia a tre mesi dalla nascita e che per poterle dare il cognome ha dovuto chiedere il test di paternità. Padre che in due anni ha incontrato la bimba solo sette volte e solo per pochi minuti. Queste, se non ci fosse di mezzo un morto, sarebbero buone giustificazioni e servirebbero a trovar ragione di un torto subìto. Ma purtroppo Vincenzo ha ucciso Lisa credendo di fare auto-giustizia quando un tribunale gli ha comunicato che anche le prossime visite alla figlia non sarebbero durate che pochi minuti (la goccia in più che toglie altra ragione). Per farlo ha acquistato un coltello, si è presentato alla sua porta con uno stratagemma e per vederla le ha parlato dell'assegno di mantenimento compilato male. Lui è l'omicida, non ci son dubbi, sua era la mano e suo il coltello, ma chi non gli ha impedito di arrivare a questo punto? Chi gli viveva accanto poteva accorgersi del disagio, è indubbio, ma volendogli bene non avrebbe mai potuto credere che quel ragazzone fosse malato al punto da diventare un assassino. Cosa che invece avrebbe dovuto notare chi ha visto la sua storia scritta sui fogli e sulle denunce. Chi era emotivamente fuori e non coinvolto, poteva non pensare che presto qualcosa di brutto sarebbe accaduto e, sfruttando al massimo la legge, chiedere ad uno psichiatra di verificare se la sanità mentale del denunciato fosse intatta o intaccata?
Ora il dolore sarà eterno e toccherà in primis quella figlia contesa rimasta senza più madre né padre, quei genitori che passeranno le loro giornate a portar fiori e lacrime al cimitero e quelli che chiederanno di poter visitare loro figlio in carcere. Simona Pletto, per la Voce di Romagna, ha ascoltato la madre di Vincenzo Manduca: "L’hanno fatto impazzire di dolore. Sì, perché gli hanno sempre negato di vedere la figlia e lui ne soffriva. Soffriva tutte le volte che andava su per vederla, ma invano, ogni volta che si avvicinava una festa. Sono state scritte tante cose non vere... venerdì mattina Vincenzo era nervoso per via di quel documento arrivato dal tribunale, verso mezzogiorno stava uscendo nervoso e quando gli ho chiesto: dove vai, mi ha detto: a te non interessa. Poi è uscito di casa, per andare da lei... Vincenzo è sempre stato un bravissimo ragazzo, nessuno si aspettava una cosa così. E bastava poco per evitare questa tragedia. Hanno abitato qui sei mesi, quando è rimasta incinta, lei al secondo mese di gravidanza è tornata a casa. Non voleva che lui riconoscesse la figlia, Vincenzo non ha mai dubitato di esserne il padre. Lui voleva solo vederla".
Paola Treppo, invece, per "Il Gazzettino" ha ascoltato il fratello di Lisa, Luca Puzzoli: "Ero appena tornato a casa dal lavoro, in casa c'erano la piccola e Lisa. Pochi minuti e ho sentito il campanello. Ho visto l'auto sportiva di Vincenzo e ho detto a mia sorella che sarei andato io ad aprire. Ma lei non ha voluto. Non si aspettava di certo un attacco letale. Li ho visti un attimo parlare vicino al cancello aperto; lei appoggiata con un braccio al portone. Non si vedeva molto perché la luce di casa non illumina tutto il cortile: ho capito che lui era venuto a parlarle per una questione di un assegno di mantenimento scritto in modo sbagliato. Invece era soltanto una scusa. Se in casa ci fosse stato qualcun altro ero pronto a inseguirlo, con la mia auto, e a tagliargli il collo con lo stesso coltello con cui ha massacrato mia sorella. Se non sarà fatta giustizia, ci penserò da solo: se uscirà dal carcere, lo andrò a cercare". Nell'attesa dell'arrivo dell'ambulanza Luca sente il polso, chiama la sorella: "Niente, non dava più segni di vita. Vedevo solo questo coltello da macellaio infilato nella schiena. Poi, quando i soccorritori le hanno tagliato gli abiti ho notato, con sgomento, una lunga ferita lungo la colonna vertebrale e poi altre davanti, al collo e alla pancia. Ho trovato una cartellina vuota in strada: sono certo che dentro ci aveva nascosto il coltello, non i documenti dell'assegno di mantenimento. Quando sono arrivati i miei parenti l'ira e la rabbia sono salite ancora: mio zio e mio padre volevano inseguirlo per prenderlo a botte, ma credevamo se la fosse data a gambe, quando in realtà stava chiamando il 112 a due passi da casa. Non credo più a niente, né alla giustizia, né nelle istituzioni. Tutti sapevano e nessuno ha fatto nulla. Lisa e Vincenzo s'erano conosciuti in internet: Lui è venuto qui la prima volta a trovarla con tanti regali e i miei genitori l'hanno accolto come un figlio. Poi lei è andata a convivere con lui due mesi a Forlì e solo dopo, rientrata a casa, ci ha confidato che era stata più volte picchiata e minacciata. Aveva minacciato di morte anche noi parenti. Ci aspettavamo un fatto violento ma non adesso, non si è mai pronti... Si spera cambino le cose".
Nelle sue parole la rabbia e il dolore, la voglia di vendetta e la rassegnazione per ciò che è stato e si poteva evitare.
Vincenzo ha ucciso Lisa, questa è la cruda realtà che ora non si può cambiare. Ci rassegniamo ed alziamo bandiera bianca, come pare abbiano fatto le procure, lasciando che chi vive nell'incubo dello stalking si auto-tuteli, magari munendosi di guardie del corpo private, lasciando che i fratelli delle donne uccise si vendichino a posteriori... o iniziamo col cercare metodi curativi che possano dimostrarsi efficaci ed aiutare sia la vittima che il persecutore?
                                   

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