Castrazione chimica, in Moldavia è legge e intanto in Italia rispunta il social pedopornografico
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Castrazione chimica. Una tipologia di pena brutale, ma sempre più
adottata. Infatti, dopo l’approvazione da parte della Polonia e dopo le
discussioni in Argentina e Repubblica Ceca, anche la Moldavia ha deciso
di adottare questa soluzione a dir poco estrema. La legge entrerà in
vigore il prossimo 1° luglio e da quel momento per tutti i pedofili,
stranieri o moldavi che siano, sorpresi in atti sessuali con minorenni
scatterà la castrazione chimica obbligatoria.
I DUBBI DEL CONSIGLIO D’EUROPA – I dubbi sulla
liceità di tale pratica, mossi soprattutto dal Consiglio d’Europa, non
mettono in discussione la pratica in sé, quanto il fatto che sia stata
resa obbligatoria. I pedofili, insomma, non potranno decidere se
accettare o meno di sottoporsi al trattamento: saranno obbligati per
legge a farlo, anche senza il loro consenso. Le perplessità nascono
proprio dal fatto che, negli altri paesi in cui si attua già questa
pena, a decidere se sottoporre o meno ai trattamenti farmacologici i
condannati per stupro su un minore di età inferiore ai 15 anni o su un
familiare sono i giudici, con la possibilità di scegliere di volta in
volta tra pena detentiva e pena corporale. Di fatto in Moldavia
l’iniziativa non tocca gli stupratori, per i quali sarà il magistrato a
decidere di volta in volta.
COME FUNZIONA – Ma che cos’è la castrazione chimica?
La pratica reversibile è effettuata attraverso la somministrazione di
«farmaci che agiscono a livello del sistema nervoso centrale – afferma
Vincenzo Gentile, presidente della Società italiana di andrologia (Sia) –
in particolare sull’ipofisi. Si assumono per via sottocutanea e sono
disponibili in diverse formulazioni, mensili o trimestrali, anche a
lento rilascio. I medicinali utilizzati sono farmaci antiandrogeni
centrali. Appartengono – conclude l’esperto – alla famiglia degli
analoghi dell’ormone LH-RH e interferiscono con il complesso meccanismo
che stimola la produzione di testosterone, impedendo all’ipofisi di
inviare al testicolo l”invito’ a fabbricare e liberare testosterone».
I CASI IN ITALIA – Se all’estero tra perplessi e
sostenitori la pratica è talvolta lecita, in Italia la cronaca ci
restituisce casi di pedofilia, che corrono on line: nel mirino un social
network, con server negli Usa e già oscurato, in cui veniva raccolto
materiale pedopornografico e in cui si reclutavano nuovi adepti. Circa
700 i membri del sodalizio criminale, ma il social network in questione
aveva pagine visitate da migliaia di persone. Qui si scambiavano
migliaia di foto e video pedopornografici, anche girati da loro stessi,
con bambini dagli 11 anni fino addirittura a dei neonati, raggirando le
vittime con ingannevoli nickname. A denunciare il fatto è l’inchiesta
nata un anno fa a seguito di denunce circostanziate presentate da
Telefono Arcobaleno. L’indagine ha portato alla luce la mente del
crimine, si tratterebbe di un italiano, arrestato a Milano. Sono
quattordici gli italiani coinvolti, con perquisizioni di Carabinieri e
Guardia di finanza in corso in Lombardia, Veneto, Valle d’Aosta, Friuli,
Toscana, Lazio, Sicilia e Puglia. Gli indagati devono rispondere delle
accuse di associazione per delinquere finalizzata alla produzione e
diffusione di materiale pedopornografico.
LA TASK FORCE ITALIANA –
L’investigazione è stata portata avanti anche grazie all’ausilio degli
detective specializzati del Nucleo interforze investigativo telematico
(Nit) di Siracusa in collaborazione con il Ncis americano, coordinati
dal procuratore della Repubblica di Firenze Giuseppe Quattrocchi e dal
sostituto Vincenzo Ferrigno. Negli Usa perquisizioni sono state fatte
negli stati di California, Washington, Missouri, Illinois, Virginia,
Texas e Ohio, inoltre sono in corso perquisizioni anche in Belgio,
Francia e Portogallo. In Italia questi reati sono regolamentati
dall’art. 600 ter del codice penale, secondo il quale chi
consapevolmente si procuri o disponga di materiale pornografico prodotto
mediante lo sfruttamento sessuale dei minori è punito con la reclusione
fino a tre anni o con la multa non inferiore a 1.549 euro. Sicuramente
le pene andrebbero inasprite, ma speriamo che il rispetto
dell’individuo, se pur colpevole, rimanga un’ineludibile stella polare.
Fonte Avanti
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