Conclave, i cardinali non hanno fretta
Il giorno “buono” potrebbe essere lunedì 11 marzo. Entro domani arriveranno a Roma tutti i 115 porporati scelti
Andava avanti da qualche giorno, sottotraccia, ed è esploso oggi, uno
scontro tra cardinali “romani” e cardinali “stranieri”. Il terreno è
quello della comunicazione pubblica, i protagonisti i porporati degli
Stati Uniti, ma gli attori sono molti di più. E ha implicazioni ben più
ampie degli uffici stampa coinvolti.
I cardinali degli Stati Uniti che entreranno sono undici, il gruppo
più numeroso dopo gli italiani (28). E sono arrivati a Roma determinati a
pesare sul Conclave. Forti di aver già attraversato la tempesta
mediatica scoppiata oltreoceano sulla pedofilia nel 2002, hanno
maturato, nel corso degli anni, una cultura di maggiore trasparenza. Non
tutti i nodi sono risolti, e la controversia attorno al viaggio a Roma
del cardinale Roger Mahony ne è un esempio, né mancano all’interno
dell’episcopato Usa divergenze anche profonde, ad esempio nei confronti
del presidente Barack Obama. Ma ‘gli americani’ hanno un altro passo, e
hanno deciso di portarlo a Roma. Trasferendo, tra l’altro, l’ufficio
stampa dell’episcopato da Washington al Gianicolo e organizzando
praticamente ogni giorno un briefing in una ampia sala del North
American College. Idea che ha provocato più di un brivido nei
maggiorenti della Curia romana.
In realtà – lo ha ricordato lo storico Alberto Melloni oggi sul
‘Messaggero’ – il vincolo di segretezza delle congregazioni generali fu
introdotto nel 2005. Quanto alla normativa, la ‘Universi dominici
gregis’ prevede sì il giuramento dei cardinali, ma “prima dell’inizio
delle operazioni dell’elezione” (ossia il Conclave) e, comunque, solo
relativamente a “tutto ciò che attiene direttamente o indirettamente
alle votazioni e agli scrutini per l’elezione del Sommo Pontefice”. Non
solo. I cardinali statunitensi intervenuti (O’Malley, George, Di Nardo,
Wuerl), non hanno mai violato alcun segreto, né hanno fornito dettagli
sulle riunioni riservate, pur senza evitare domande su temi spinosi come
la pedofilia, i Vatileaks, i problemi di governance della Curia.
Abbastanza, per i curiali. Che già nei giorni scorsi hanno recapitato
all’arcivescovo di New York prima un invito gentile a desistere dalle
conferenze stampa quotidiane, poi sempre più pressante. Fino alle ultime
ore, in cui il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano avrebbe
detto chiaro e tondo che non si poteva andare avanti con i briefing. E
così se l’ufficio stampa dell’efficientissima sister Mary Ann Walsh
aveva preannunciato ieri la presenza di Dolan in persona, stamane un
comunicato informava che sarebbe stato sostituito da Tehodore McCarrick,
e infine, in tarda mattinata, l’annullamento del punto stampa.
Il tutto mentre si svolgeva nella sala stampa vaticana il briefing
quotidiano che svolge il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, a
sua volta forte di una lunga esperienza di trasparenza (fu lui a gestire
con piena disponibilità la comunicazione della Santa Sede mentre
scoppiò lo scandalo pedofilia nel 2010), e ora cauto per rispetto della
riservatezza del collegio cardinalizio ma non per questo avido di
indicazioni di massima sullo svolgimento delle dichiarazioni. I
giornalisti anglofoni gli chiedono se ha un commento. “Non mi stupisce –
commenta lui – che nel continuare il cammino ci siano stadi differenti,
prima una certa apertura, comunicazione e condivisione poi, man mano,
vedendo e sentendo la sensibilità del collegio nel suo insieme, si mette
a punto un altro modo di comunicare e intervenire”. Un cronista
statunitense insiste e domanda se la decisione è stata presa dopo aver
consultato il cardinale decano Angelo Sodano, Lombardi risponde:
“Suggerireri di chiederlo ai cardinali americani”.
Andava avanti da qualche giorno, sottotraccia, ed è esploso oggi, uno
scontro tra cardinali “romani” e cardinali “stranieri”. Il terreno è
quello della comunicazione pubblica, i protagonisti i porporati degli
Stati Uniti, ma gli attori sono molti di più. E ha implicazioni ben più
ampie degli uffici stampa coinvolti.
I cardinali degli Stati Uniti che entreranno sono undici, il gruppo
più numeroso dopo gli italiani (28). E sono arrivati a Roma determinati a
pesare sul Conclave. Forti di aver già attraversato la tempesta
mediatica scoppiata oltreoceano sulla pedofilia nel 2002, hanno
maturato, nel corso degli anni, una cultura di maggiore trasparenza. Non
tutti i nodi sono risolti, e la controversia attorno al viaggio a Roma
del cardinale Roger Mahony ne è un esempio, né mancano all’interno
dell’episcopato Usa divergenze anche profonde, ad esempio nei confronti
del presidente Barack Obama. Ma ‘gli americani’ hanno un altro passo, e
hanno deciso di portarlo a Roma. Trasferendo, tra l’altro, l’ufficio
stampa dell’episcopato da Washington al Gianicolo e organizzando
praticamente ogni giorno un briefing in una ampia sala del North
American College. Idea che ha provocato più di un brivido nei
maggiorenti della Curia romana.
In realtà – lo ha ricordato lo storico Alberto Melloni oggi sul
‘Messaggero’ – il vincolo di segretezza delle congregazioni generali fu
introdotto nel 2005. Quanto alla normativa, la ‘Universi dominici
gregis’ prevede sì il giuramento dei cardinali, ma “prima dell’inizio
delle operazioni dell’elezione” (ossia il Conclave) e, comunque, solo
relativamente a “tutto ciò che attiene direttamente o indirettamente
alle votazioni e agli scrutini per l’elezione del Sommo Pontefice”. Non
solo. I cardinali statunitensi intervenuti (O’Malley, George, Di Nardo,
Wuerl), non hanno mai violato alcun segreto, né hanno fornito dettagli
sulle riunioni riservate, pur senza evitare domande su temi spinosi come
la pedofilia, i Vatileaks, i problemi di governance della Curia.
Abbastanza, per i curiali. Che già nei giorni scorsi hanno recapitato
all’arcivescovo di New York prima un invito gentile a desistere dalle
conferenze stampa quotidiane, poi sempre più pressante. Fino alle ultime
ore, in cui il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano avrebbe
detto chiaro e tondo che non si poteva andare avanti con i briefing. E
così se l’ufficio stampa dell’efficientissima sister Mary Ann Walsh
aveva preannunciato ieri la presenza di Dolan in persona, stamane un
comunicato informava che sarebbe stato sostituito da Tehodore McCarrick,
e infine, in tarda mattinata, l’annullamento del punto stampa.
Il tutto mentre si svolgeva nella sala stampa vaticana il briefing
quotidiano che svolge il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, a
sua volta forte di una lunga esperienza di trasparenza (fu lui a gestire
con piena disponibilità la comunicazione della Santa Sede mentre
scoppiò lo scandalo pedofilia nel 2010), e ora cauto per rispetto della
riservatezza del collegio cardinalizio ma non per questo avido di
indicazioni di massima sullo svolgimento delle dichiarazioni. I
giornalisti anglofoni gli chiedono se ha un commento. “Non mi stupisce –
commenta lui – che nel continuare il cammino ci siano stadi differenti,
prima una certa apertura, comunicazione e condivisione poi, man mano,
vedendo e sentendo la sensibilità del collegio nel suo insieme, si mette
a punto un altro modo di comunicare e intervenire”. Un cronista
statunitense insiste e domanda se la decisione è stata presa dopo aver
consultato il cardinale decano Angelo Sodano, Lombardi risponde:
“Suggerireri di chiederlo ai cardinali americani”.
Fonte Blogtaurmina
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