09 marzo 2013

CONCLAVE I CARDINALI NON HANNO FRETTA AL QUANTO PARE


Conclave, i cardinali non hanno fretta

Il giorno “buono” potrebbe essere lunedì 11 marzo. Entro domani arriveranno a Roma tutti i 115 porporati scelti

Andava avanti da qualche giorno, sottotraccia, ed è esploso oggi, uno scontro tra cardinali “romani” e cardinali “stranieri”. Il terreno è quello della comunicazione pubblica, i protagonisti i porporati degli Stati Uniti, ma gli attori sono molti di più. E ha implicazioni ben più ampie degli uffici stampa coinvolti.
I cardinali degli Stati Uniti che entreranno sono undici, il gruppo più numeroso dopo gli italiani (28). E sono arrivati a Roma determinati a pesare sul Conclave. Forti di aver già attraversato la tempesta mediatica scoppiata oltreoceano sulla pedofilia nel 2002, hanno maturato, nel corso degli anni, una cultura di maggiore trasparenza. Non tutti i nodi sono risolti, e la controversia attorno al viaggio a Roma del cardinale Roger Mahony ne è un esempio, né mancano all’interno dell’episcopato Usa divergenze anche profonde, ad esempio nei confronti del presidente Barack Obama. Ma ‘gli americani’ hanno un altro passo, e hanno deciso di portarlo a Roma. Trasferendo, tra l’altro, l’ufficio stampa dell’episcopato da Washington al Gianicolo e organizzando praticamente ogni giorno un briefing in una ampia sala del North American College. Idea che ha provocato più di un brivido nei maggiorenti della Curia romana.
In realtà – lo ha ricordato lo storico Alberto Melloni oggi sul ‘Messaggero’ – il vincolo di segretezza delle congregazioni generali fu introdotto nel 2005. Quanto alla normativa, la ‘Universi dominici gregis’ prevede sì il giuramento dei cardinali, ma “prima dell’inizio delle operazioni dell’elezione” (ossia il Conclave) e, comunque, solo relativamente a “tutto ciò che attiene direttamente o indirettamente alle votazioni e agli scrutini per l’elezione del Sommo Pontefice”. Non solo. I cardinali statunitensi intervenuti (O’Malley, George, Di Nardo, Wuerl), non hanno mai violato alcun segreto, né hanno fornito dettagli sulle riunioni riservate, pur senza evitare domande su temi spinosi come la pedofilia, i Vatileaks, i problemi di governance della Curia. Abbastanza, per i curiali. Che già nei giorni scorsi hanno recapitato all’arcivescovo di New York prima un invito gentile a desistere dalle conferenze stampa quotidiane, poi sempre più pressante. Fino alle ultime ore, in cui il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano avrebbe detto chiaro e tondo che non si poteva andare avanti con i briefing. E così se l’ufficio stampa dell’efficientissima sister Mary Ann Walsh aveva preannunciato ieri la presenza di Dolan in persona, stamane un comunicato informava che sarebbe stato sostituito da Tehodore McCarrick, e infine, in tarda mattinata, l’annullamento del punto stampa.
Il tutto mentre si svolgeva nella sala stampa vaticana il briefing quotidiano che svolge il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, a sua volta forte di una lunga esperienza di trasparenza (fu lui a gestire con piena disponibilità la comunicazione della Santa Sede mentre scoppiò lo scandalo pedofilia nel 2010), e ora cauto per rispetto della riservatezza del collegio cardinalizio ma non per questo avido di indicazioni di massima sullo svolgimento delle dichiarazioni. I giornalisti anglofoni gli chiedono se ha un commento. “Non mi stupisce – commenta lui – che nel continuare il cammino ci siano stadi differenti, prima una certa apertura, comunicazione e condivisione poi, man mano, vedendo e sentendo la sensibilità del collegio nel suo insieme, si mette a punto un altro modo di comunicare e intervenire”. Un cronista statunitense insiste e domanda se la decisione è stata presa dopo aver consultato il cardinale decano Angelo Sodano, Lombardi risponde: “Suggerireri di chiederlo ai cardinali americani”. 
Andava avanti da qualche giorno, sottotraccia, ed è esploso oggi, uno scontro tra cardinali “romani” e cardinali “stranieri”. Il terreno è quello della comunicazione pubblica, i protagonisti i porporati degli Stati Uniti, ma gli attori sono molti di più. E ha implicazioni ben più ampie degli uffici stampa coinvolti.
I cardinali degli Stati Uniti che entreranno sono undici, il gruppo più numeroso dopo gli italiani (28). E sono arrivati a Roma determinati a pesare sul Conclave. Forti di aver già attraversato la tempesta mediatica scoppiata oltreoceano sulla pedofilia nel 2002, hanno maturato, nel corso degli anni, una cultura di maggiore trasparenza. Non tutti i nodi sono risolti, e la controversia attorno al viaggio a Roma del cardinale Roger Mahony ne è un esempio, né mancano all’interno dell’episcopato Usa divergenze anche profonde, ad esempio nei confronti del presidente Barack Obama. Ma ‘gli americani’ hanno un altro passo, e hanno deciso di portarlo a Roma. Trasferendo, tra l’altro, l’ufficio stampa dell’episcopato da Washington al Gianicolo e organizzando praticamente ogni giorno un briefing in una ampia sala del North American College. Idea che ha provocato più di un brivido nei maggiorenti della Curia romana.
In realtà – lo ha ricordato lo storico Alberto Melloni oggi sul ‘Messaggero’ – il vincolo di segretezza delle congregazioni generali fu introdotto nel 2005. Quanto alla normativa, la ‘Universi dominici gregis’ prevede sì il giuramento dei cardinali, ma “prima dell’inizio delle operazioni dell’elezione” (ossia il Conclave) e, comunque, solo relativamente a “tutto ciò che attiene direttamente o indirettamente alle votazioni e agli scrutini per l’elezione del Sommo Pontefice”. Non solo. I cardinali statunitensi intervenuti (O’Malley, George, Di Nardo, Wuerl), non hanno mai violato alcun segreto, né hanno fornito dettagli sulle riunioni riservate, pur senza evitare domande su temi spinosi come la pedofilia, i Vatileaks, i problemi di governance della Curia. Abbastanza, per i curiali. Che già nei giorni scorsi hanno recapitato all’arcivescovo di New York prima un invito gentile a desistere dalle conferenze stampa quotidiane, poi sempre più pressante. Fino alle ultime ore, in cui il decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano avrebbe detto chiaro e tondo che non si poteva andare avanti con i briefing. E così se l’ufficio stampa dell’efficientissima sister Mary Ann Walsh aveva preannunciato ieri la presenza di Dolan in persona, stamane un comunicato informava che sarebbe stato sostituito da Tehodore McCarrick, e infine, in tarda mattinata, l’annullamento del punto stampa.
Il tutto mentre si svolgeva nella sala stampa vaticana il briefing quotidiano che svolge il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, a sua volta forte di una lunga esperienza di trasparenza (fu lui a gestire con piena disponibilità la comunicazione della Santa Sede mentre scoppiò lo scandalo pedofilia nel 2010), e ora cauto per rispetto della riservatezza del collegio cardinalizio ma non per questo avido di indicazioni di massima sullo svolgimento delle dichiarazioni. I giornalisti anglofoni gli chiedono se ha un commento. “Non mi stupisce – commenta lui – che nel continuare il cammino ci siano stadi differenti, prima una certa apertura, comunicazione e condivisione poi, man mano, vedendo e sentendo la sensibilità del collegio nel suo insieme, si mette a punto un altro modo di comunicare e intervenire”. Un cronista statunitense insiste e domanda se la decisione è stata presa dopo aver consultato il cardinale decano Angelo Sodano, Lombardi risponde: “Suggerireri di chiederlo ai cardinali americani”. 
Fonte Blogtaurmina

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