Il presunto maltrattamento e il difficile ruolo dell'educatore
La presenza di emozioni difficili da gestire e la complessità della
situazione di fronte al sospetto di maltrattamento o abuso ai danni dei
minori portano spesso gli educatori a ricercare scorciatoie
emotivo-progettuali: queste, se da una parte aiutano a tollerare la
complessità semplificandola, dall’altra parte possono condurre a veri e
propri vicoli ciechi.
Questa posizione rischia di svilupparsi quando
emerge in modo particolarmente evidente una sofferenza del bambino
connessa alle condotte inadeguate dei genitori. L’educatore si cimenta
nella difficile impresa di “curare” il minore, offrendogli sostegno,
vicinanza e stimoli. Tali azioni possono avvenire squalificando i
genitori, considerati causa del danno del bambino da riparare. Il
vantaggio percepito dall’educatore può essere una semplificazione dei
ruoli in campo: i genitori “cattivi” da estromettere, il bambino vittima
da salvare, l’educatore “buono” che ripara i torti e le ingiustizie.
L’educatore, intento a riparare il bambino, può perdere di vista
l’osservazione del rapporto tra genitori e bambino, riducendo la
possibilità di comprendere il disagio manifestato dal minore. Nel caso,
poi, in cui il bambino si trovi realmente in una situazione di
trascuratezza e maltrattamento, si trasgredisce quella che è considerata
una delle principali regole di lavoro: la necessità di intervenire a
favore del bambino maltrattato solo quando questo sia stato messo in una
coerente posizione di protezione.
Questa posizione può attivarsi soprattutto nei casi in cui è il genitore stesso a chiedere aiuto, mettendosi in una posizione di persona bisognosa. L’educatore tende a investire nella relazione di sostegno; spesso attiva iniziative di promozione e supporto alla genitorialità. Appaiono evidenti i rischi, soprattutto quando è in atto una situazione di maltrattamento: l’educatore si trova, infatti, nell’insostenibile posizione di chi offre aiuto ai genitori maltrattanti e, dunque, si colloca lontano da ogni logica di tutela del minore. L’educatore può trovarsi a sperimentare vissuti che gli impediscono di affrontare efficacemente il problema.
Qualora l’educatore si cali nel ruolo, facendo propria l’istanza investigativa, potrà sviluppare pregiudizi che rischiano di indurre controproducenti atteggiamenti di distanziamento e rifiuto. In questi casi la famiglia, ma anche lo stesso bambino, può percepire l’educatore in una posizione incongrua, lontana emotivamente e, soprattutto, carica di impliciti e sottointesi; ciò può generare distanza e diffidenza, fino al punto da ricercare la conclusione del progetto di intervento.
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