Il Papa sveli i casi di pedofilia aprendo gli archivi diocesani
papa Francesco recentemente ha ricevuto il prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede per invitarlo ad “agire con decisione” in
tema di abusi sessuali. Ha dato istruzione di proteggere i minori,
aiutare le vittime, intervenire con i “procedimenti dovuti contro i
colpevoli”, sollecitare le iniziative degli episcopati. Sono indicazioni
pubblicate in prima pagina dall’Osservatore Romano. Un segnale
importante. Non c’è dubbio che Francesco voglia una Chiesa più autentica
e trasparente. Bisogna vedere come le sue istruzioni saranno
concretizzate. CON I RAPPORTI ufficiali sugli abusi pubblicati negli
anni scorsi l’Irlanda ha giocato un ruolo enorme nel costringere il
Vaticano ad adottare una nuova strategia rispetto al passato, espressa
dalla Lettera agli Irlandesi di Benedetto XVI del marzo 2010. Dentro la
Chiesa, e fuori, gli abusi sui minori hanno una storia secolare. Già
nell’anno 306 il concilio di Elvira in Spagna condanna gli “stupratori
di fanciulli”: a loro niente comunione neanche in punto di morte. Papa
Pio V (in un’epoca in cui non si distingue tra rapporti omosessuali con
adulti e con minori) in un enciclica del 1568 è durissimo: i colpevoli
vanno degradati, privati dello status sacerdotale quale che sia il loro
rango, consegnati al potere civile per soffrire le pene peggiori, morte
compresa. È stato così? No. La ricerca recentissima di due studiosi
dell’università di Napoli dedicata al “Clero criminale” (Michele
Mancino, Giovanni Romeo, ed.Laterza) dimostra che proprio nell’epoca
riformatrice del Concilio di Trento i preti colpevoli sono trattati
sempre con molto maggiore riguardo dei laici colpevoli e anche quando
alcuni vescovi rigorosi tentano di comminare condanne esemplari, le
autorità ecclesiastiche in seconda istanza hanno svuotato
sistematicamente le sentenze. L’istituzione ecclesiastica ha sempre
protetto se stessa. Ancora nel 1985 il cardinale Ratzinger in una
lettera al vescovo di Oakland sulla riduzione allo stato laicale di un
prete, che ha abusato di due ragazzi, soppesa i pro e i contro
dell’espulsione rispetto alle reazioni della comunità parrocchiale. In
diciannove righe di testo non si menzionano mai le vittime. La sua
Lettera del 2010 è una svolta avvenuta sotto lo choc delle vicende in
Irlanda, Germania, Belgio, Austria. Sono convinto che Benedetto XVI sia
maturato. Il documento è molto importante per l’evoluzione della Chiesa
rispetto a questo tema. Il Papa riconosce che non sono state applicate
le leggi canoniche, accusa i vescovi di mancanza di leadership, dice che
i colpevoli devono sottomettersi alle leggi statali e soprattutto pone
l’accento sulle vittime. “Voi siete stati traditi e non siete stati
ascoltati”, dichiara papa Ratzinger. NEL LUGLIO 2010 l’ex Sant’Uffizio
ha emanato norme più severe. La prescrizione decorre venti anni dopo la
maggiore età (più a lungo che in molti Stati), cardinali e patriarchi
possono essere processati, è perseguito l’abuso su malati mentali e il
possesso di materiale pedopornografico, possono far parte dei tribunali
diocesani anche semplici fedeli: uomini e donne. Nel 2012 è stato
organizzato dal Vaticano un convegno all’università Gregoriana per
sensibilizzare i vescovi di tutto il mondo. Insomma c’è stato un
cambiamento strategico inimmaginabile ancora dieci anni prima. Ma è una
strategia incompiuta. Che cosa non funziona? I pontefici incontrano
singole vittime, ma non le loro associazioni. Non è stato emanata
l’istruzione ad aprire gli archivi diocesani dove giacciono i casi di
tante vittime ignote. Non è stato ordinato ai vescovi di denunciare
sempre i criminali all’autorità giudiziaria. Manca inoltre la
trasparenza sulla sorte e la destinazione dei colpevoli. L’Italia
rappresenta il punto debole della strategia di tolleranza zero. È la
terra dove ha sede il governo centrale della Chiesa, i pontefici sono
“primati d’Italia”, il presidente della conferenza episcopale italiana è
nominato dal Papa (e non eletto come ovunque nel mondo), le sue
relazioni all’episcopato sono visionate anticipatamente in Vaticano. La
Chiesa italiana dovrebbe essere all’avanguar – dia. Invece sta nelle
retrovie. L’ex “promotore di giustizia” del Sant’Uffizio monsignor
Scicluna ha lamentato il persistere di una “cultura del silenzio”.
L’episcopato italiano non ha un vescovo responsabile del dossier abusi a
livello nazionale, non ci sono referenti diocesani, non c’è una
commissione investigativa indipendente, non c’è una commissione per i
risarcimenti, non c’è nemmeno un numero verde a cui le vittime possano
rivolgersi. Un prete siciliano don Di Noto, impegnato contro la
pedopornografia su internet, ha proposto di istituire nelle diocesi un
“vicario per bambini”. È stato ignorato. Tema di questa conferenza è il
concetto di accountability , cioè la “responsabilità di dovere rendere
conto”. Per essere di esempio alla Chiesa universale le cose devono
cambiare in Italia. il testo è l’intervento dell’autore alla prima
onferenza internazionale sugli abusi sessuali del clero, riunita a
Dublino da Snap (Survivors’ Network of Abused by Priests).
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