Avviata l’opera di normalizzazione della pedofilia
Poco importa se nella “bibbia” della psichiatria mondiale – o DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) del 1994 – i criteri diagnostici riguardo la pedofilia sono stati severamente criticati per mancanza di affidabilità, validità, coerenza e precisione, o se regna il caos nei relativi sistemi di classificazione con incoerenti metodologie di codifica sociolegale anziché psicologica. A maggio uscirà il nuovo DSM, aggiornato. Con esso sarà mantenuta la definizione di pedofilia in quanto “disturbo (disease) pedofilo”, anziché malattia (illness).
Vittorino Andreoli, accademico e psichiatra famoso, scriveva nel 2004 che “La pedofilia è una malattia”, intendendo comunque per “malattia” un disease psichico. “Oggi – continua Andreoli – la
pedofilia è inserita nell’elenco delle malattie, mentre, per esempio,
non lo è più l′omosessualità, che è stata cancellata nel 1992. Chiunque
facesse attualmente una diagnosi di omosessualità, includendola come
malattia, sarebbe perseguibile perché non solo commette un errore dal
punto di vista sanitario ma compirebbe una discriminazione.”[4]
Eppure, proprio come l’omosessualità, anche la pedofilia sembra seguire lo stesso identico percorso
di normalizzazione, interrotto (ma ancora per poco) dalla strenua
battaglia di numerose associazioni di genitori. Infatti, nel passaggio
dal DSM IV al DSM IV-TR, manuale ora in uso, si riuscì ad ottenere
che anche l’agito pedofilo, e non solo la pedofilia “egodistonica”
(quando cioè il pedofilo è consapevole di esserlo), fosse considerato un
disturbo della sfera sessuale.
E in effetti in Canada, in un dibattito parlamentare del 2011, la pedofilia è stata ritenuta dal dottor Hubert Van Gijseghem, ex professore di psicologia presso l’Università di Montreal, “un orientamento sessuale”
esattamente come l’eterosessualità e l’omosessualità. Un orientamento
talmente normale, o naturale – secondo Van Gijseghem – che il solo
tentativo di un’ipotetica rieducazione sarebbe totalmente folle, tanto
quanto quello di voler cambiare qualsiasi “orientamento sessuale”. È
evidente come tale modo di ragionare inneschi un effetto domino dagli
esiti a sorpresa, soprattutto per le potentissime holding farmaceutiche.
Considerato, infatti, che in tutto lo
scibile comportamentale sessuale non esiste più nessuna “norma” poiché
lentamente tutto sarà “norma” (leggi “orientamento sessuale”), per quale
reazionaria ragione si dovrebbero discriminare le
restanti “parafilie” in catalogo? E ancora di più, perché mai dovrebbe
esistere una cura – con o senza dopaggio farmacologico – per le
perversioni sessuali con animali, lo stupro seriale intrafamiliare, le
sevizie sadiche su anziani, bambini, malati e invalidi gravissimi, e
tutte le innumerevoli devianze sessuali reiterate nel tempo,
diagnosticate appunto (ma solo per ora) “parafilie” o anomalie del
comportamento sessuale? Non sarebbe un tragico errore sanitario oltre
che uno scandalosissimo trattamento discriminatorio?

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