30 maggio 2013

ANCHE I CENTRI ANTIVIOLENZA SULLE DONNE DIVENTANO UN BUSINESS

Regione Lombardia, anche i centri antiviolenza sulle donne diventano un business 

Con le grinfie di un falco e la grazia di una colomba oggi s’è appioppata nella mail Sara news, un fulmine, uno choc, uno show, o meglio una newsletter a colori e dolori per Maroni e la sua giunta. Sara Valmaggi è la vicepresidente del consiglio regionale, s’è presa la carica più dannata dello Stivale e adesso ci delizia scagliando frecce avvelenate attraverso il Web. E aggredisce subito l’inferno padano (la nostra Siberia), la Lombardia nera di smog e di torbidume pirellonico con una questione diabolica. Possono i centri anti-violenza a tutela delle donne trasformarsi nel solito business regionale? Sara Valmaggi racconta una cupa storia di voucher e della libertà di scelta fra gestori diversi. Questi regionali, innanzitutto l’assessore alla sanità Mario Mantovani fiutano forse l’affare della creazione di centri antiviolenza cattolici per far concorrenza a quelli creati dalle donne liberamente? C’è da aspettarsi di tutto dai regionali. Meglio però leggere Sara Valmaggi, ecco uno dei messaggi contenuti nella sua newsletter. Che conferma il dubbio nei suoi tratti essenziali!
Per essere efficaci le politiche di contrasto alla violenza di genere devono essere integrate. Il piano regionale per il welfare, approvato dalla giunta il 21 maggio scorso, pone fra i propri obiettivi il contrasto alla violenza di genere, indicando fra le priorità anche l’apertura di nuovi centri antiviolenza. L’obiettivo è certamente apprezzabile ma gli strumenti messi in campo per raggiungerlo non sono condivisibili. Si ipotizza infatti una modalità di finanziamento tramite voucher. Quello che serve è prima di tutto finanziare i centri che già ci sono, e che finora si sono autofinanziati, anche con grandi difficoltà. Quello che è fondamentale è applicare la legge già in
vigore, ma ad oggi non ancora finanziata, sulla violenza sulle donne e trovare modalità di coordinamento per rafforzare la rete informale già esistente sul territorio. E’ questo l’unico modo per sostenere le donne vittime di violenza e prevenire la diffusioni dei reati.

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