Chiesa e pedofilia: un binomio non inscindibile
Tra le questioni aperte
che Papa Francesco dovrà affrontare vi quella del rapporto tra clero e
pedofilia. Gli scandali emersi chiaramente durante il pontificato di
Joseph Ratzinger, mettono in evidenza come non sia più sufficiente
intervenire con misure di carattere amministrativo o giudiziario,
allontanando preti pedofili e vescovi conniventi dalle diocesi in cui
esercitano il loro ministero.
Jorge Mario Bergoglio è indubbiamente un
personaggio straordinariamente popolare. La sua informalità,
accuratamente amplificata dai media, mette in evidenza, per contrasto,
l'aridità comunicativa del suo predecessore. Dopo il Papa Buono, il Papa del dubbio, il Papa che amava i giovani, e il Papa teologo, i giornali hanno trovato il papa alla mano, che si propone al suo popolo in maniera informale.
Papa Francesco ha suscitato immediatamente un'istintiva simpatia e un moto di speranza
anche presso il mondo laico, che da lui si attende una non meglio
precisata riforma della Chiesa. Oltre a mettere mano alla struttura
della Curia romana, per ridurne l'abnorme potere che tanta parte ha
avuto nei recenti scandali, Bergoglio deve fronteggiare la questione
degli abusi sui minori perpetrati dal clero, problema
lasciato in sospeso da Benedetto XVI. Di tutta evidenza che la questione
non può essere liquidata con qualche calcolo statistico. Secondo quanto
dichiarato dal Cardinale Hummes circa il 4% dei preti sarebbero pedofili.
Lo stesso Hummes appena un anno prima aveva affermato che la pedofilia
riguarderebbe meno dell'1% dei sacerdoti. Questo balletto di cifre è di
per se significativo perché da conto dell'indecisione dei Sacri Palazzi
circa l'approccio con cui affrontare il problema: ad una prospettiva
giuridica, punire cioè severamente i sacerdoti responsabili di abusi o
comunque conniventi, se ne alterna un'altra che tende a minimizzare
quando non ad invocare improbabili congiure contro la Chiesa.
Bisogna peraltro osservare che ogni statistica risulta naturalmente
alterata e i dati vanno letti con cautela e senza troppo ottimismo,
atteso il velo di omertà che aleggia su una questione
così spinosa. Va da sé che nessun pedofilo è disposto ad ammettere la
propria condizione di fronte alle autorità civili o religiose, né forse
al cospetto della propria coscienza. D'altra parte è innegabile che la
pedofilia all'interno della Chiesa cattolica mette a nudo la
contraddizione tra un'etica sessuale inflessibile che
giustamente condanna in maniera drastica gli abusi sui minori e
l'esigenza, direi tutta politica, di tenere al riparo la navicella di
Pietro da tempeste che possano affondarne la credibilità. La
conseguenza di questa condotta ondivaga è una buona dose di ipocrisia,
un sistematico rifiuto di affrontare il problema alla radice,
condannando con molti distinguo, manifestando vicinanza alle vittime per
poi perdendosi nei se e nei ma e insabbiando tutto se qualche caso dovesse arrivare
a toccare i piani alti del Palazzo Apostolico.
Manca del tutto una prospettiva di tipo psicologico, che indaghi le ragioni
per le quali un uomo di Chiesa possa provare attrazione per un soggetto
che non ha raggiunto la maturità sessuale. Naturalmente non si pretende
che il pontefice, per quanto popolare e autorevole nello stesso tempo,
possa incidere su un corpus dottrinario millenario che
guarda con oggettivo sfavore le manifestazioni della sessualità umana:
chi ne volesse avere una prova consulti gli scritti in materia dei Padri
della Chiesa e i documenti ufficiali, primo fra tutti il Catechismo della Chiesa Cattolica.

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