Disabili. Cassazione: l'indifferenza e' maltrattamento
Venerdì 1 marzo 2013
 Atteggiamenti rudi e indifferenti nei confronti di un disabile possono 
costare alla badante che lo ha in affidamento una condanna per 
maltrattamenti. Lo sottolinea la Cassazione (sentenza 9724/2013), 
esaminando il caso di una donna ucraina condannata dalla Corte d'appello
 di Roma a 8 mesi di reclusione per maltrattamenti nei confronti di un 
uomo affetto da sindrome di down (le cui esigenze erano paragonabili a 
quelle di un bambino di 3-4 anni), al quale faceva da badante. 
L'imputata, in base a quanto ricostruito nel processo, aveva sempre 
tenuto un "atteggiamento molto rude e imperioso" nei confronti del 
disabile "sgridandolo ad alta voce", "non curandosi" della sua igiene 
personale, "trascurandone l'alimentazione", lasciandolo anche spesso 
solo per intrattenersi con le amiche.
 Atteggiamenti rudi e indifferenti nei confronti di un disabile possono 
costare alla badante che lo ha in affidamento una condanna per 
maltrattamenti. Lo sottolinea la Cassazione (sentenza 9724/2013), 
esaminando il caso di una donna ucraina condannata dalla Corte d'appello
 di Roma a 8 mesi di reclusione per maltrattamenti nei confronti di un 
uomo affetto da sindrome di down (le cui esigenze erano paragonabili a 
quelle di un bambino di 3-4 anni), al quale faceva da badante. 
L'imputata, in base a quanto ricostruito nel processo, aveva sempre 
tenuto un "atteggiamento molto rude e imperioso" nei confronti del 
disabile "sgridandolo ad alta voce", "non curandosi" della sua igiene 
personale, "trascurandone l'alimentazione", lasciandolo anche spesso 
solo per intrattenersi con le amiche.A denunciare la vicenda era stato il fratello del disabile che, durante le visite all'uomo, lo aveva trovato sempre più magro, triste, dimesso e malcurato. La sesta sezione penale della Suprema Corte, pur dichiarando prescritto il reato, ha riconosciuto l'imputata responsabile di maltrattamenti: tale reato, infatti "è integrato non soltanto da specifici fatti commissivi direttamente opprimenti la persona offesa, sì da imporle un inaccettabile e penoso sistema di vita ma altresì da fatti omissivi di deliberata indifferenza verso elementari bisogni esistenziali e affettivi di una persona disabile".
I giudici, inoltre, ricordano che "le caratteristiche delle esigenze vitali e dei ben definiti bisogni di socialità e affettività di una persona con sindrome di down "debbono considerarsi, nell'attuale momento storico, acquisiti al patrimonio di conoscenza collettivo, in guisa da non richiedere alcuna speciale perizia e preparazione tecnica o medica, che trascendano il buon senso, una comune sensibilità e un doveroso rispetto per la diversità di una persona disabile, per limiti cognitivi e difficoltà motorie, quale un portatore di sindrome di down". Sensibilità e rispetto, conclude la Corte, "tanto più doverosi e ineludibili se connessi", come nel caso in esame, "a un rapporto professionale di affidamento e cura nella persona portatrice di handicap".
Fonte ADUC 
 

 
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