01 marzo 2013

I LAGHER CINESI CHE FABBRICANO IL SOGNO


I lager cinesi che fabbricano
il sogno occidentale

Per confezionare un paio di Timberland, vendute in Europa a 150 euro, nella città di Zhongshan un ragazzo di 14 anni guadagna 45 centesimi di euro. Lavora 16 ore al giorno, dorme in fabbrica, non ha ferie né assicurazione malattia, rischia l'intossicazione e vive sotto l'oppressione di padroni-aguzzini. Per fabbricare un paio di scarpe da jogging Puma una cinese riceve 90 centesimi di euro: il prezzo in Europa è 178 euro per il modello con il logo della Ferrari. Nella fabbrica-lager che produce per la Puma i ritmi di lavoro sono così intensi che i lavoratori hanno le mani penosamente deformate dallo sforzo continuo.
Gli operai cinesi che riforniscono i nostri negozi - l'esercito proletario che manda avanti la "fabbrica del mondo" - cominciano a parlare. Rivelano le loro condizioni di vita a un'organizzazione umanitaria, forniscono prove dello sfruttamento disumano, del lavoro minorile, delle violenze, delle malattie. Qualche giornale cinese rompe l'omertà. Ci sono scioperi spontanei, in un Paese dove il sindacato unico sta dalla parte dei padroni. Vengono alla luce frammenti di una storia che è l'altra faccia del miracolo asiatico, una storia di sofferenze le cui complicità si estendono dal governo di Pechino alle multinazionali occidentali.
La fabbrica dello "scandalo Timberland" è nella ricca regione meridionale del Guangdong, il cuore della potenza industriale cinese, la zona da cui ebbe inizio un quarto di secolo fa la conversione accelerata della Cina al capitalismo.
L'impresa di Zhongshan si chiama Kingmaker Footwear, con capitali taiwanesi, ha 4.700 dipendenti di cui l'80% donne. Ci lavorano anche minorenni di 14 e 15 anni. La maggioranza della produzione è destinata a un solo cliente, Timberland. Kingmaker Footwear è un fornitore che lavora su licenza, autorizzato a fabbricare le celebri scarpe per la marca americana. Le testimonianze dirette sui terribili abusi perpetrati dietro i muri di quella fabbrica sono state raccolte dall'associazione umanitaria China Labor Watch, impegnata nella battaglia contro lo sfruttamento dei minori e le violazioni dei diritti dei lavoratori.
Le prove sono schiaccianti. Di fronte a queste rivelazioni il quartier generale della multinazionale ha dovuto fare mea culpa. Lo ha fatto in sordina; non certo con l'enfasi con cui aveva pubblicizzato il premio di "migliore azienda dell'anno per le relazioni umane" decretatole dalla rivista Fortune nel 2004. Ma attraverso una dichiarazione ufficiale firmata da Robin Giampa, direttore delle relazioni esterne della Timberland, ora i vertici ammettono esplicitamente: "Siamo consapevoli che quella fabbrica ha avuto dei problemi relativi alle condizioni di lavoro. Siamo attualmente impegnati ad aiutare i proprietari della fabbrica a migliorare".
I "problemi relativi alle condizioni di lavoro" però non sono emersi durante le regolari ispezioni che la Timberland fa alle sue fabbriche cinesi (due volte l'anno), né risultano dai rapporti del suo rappresentante permanente nell'azienda. Sono state necessarie le testimonianze disperate che gli operai hanno confidato agli attivisti umanitari, rischiando il licenziamento e la perdita del salario se le loro identità vengono scoperte. "In ogni reparto lavorano ragazzi tra i 14 e i 16 anni", dicono le testimonianze interne: uno sfruttamento di minori che in teoria la Cina ha messo fuorilegge. La giornata di lavoro inizia alle 7.30 e finisce alle 21 con due pause per pranzo e cena, ma oltre l'orario ufficiale gli straordinari sono obbligatori.
Nei mesi di punta d'aprile e maggio, in cui la Timberland aumenta gli ordini, "il turno normale diventa dalle 7 alle 23, con una domenica di riposo solo ogni 2 settimane; gli straordinari s'allungano ancora e i lavoratori passano fino a 105 ore a settimana dentro la fabbrica". Gli informatori dall'interno dello stabilimento hanno fornito 4 esemplari di buste paga a China Labor Watch. La paga mensile è di 757 yuan (75 euro) "ma il 44% viene dedotto per coprire le spese di vitto e alloggio". Vitto e alloggio significa camerate in cui si ammucchiano 16 lavoratori su brandine di metallo, e una mensa dove "50 lavoratori sono stati avvelenati da germogli di bambù marci". In fabbrica i manager mantengono un clima d'intimidazione "incluse le violenze fisiche; un'operaia di 20 anni picchiata dal suo caporeparto è stata ricoverata in ospedale, ma l'azienda non le paga le spese mediche".
Un mese di salario viene sempre trattenuto dall'azienda come arma di ricatto: se un lavoratore se ne va lo perde. Altre mensilità vengono rinviate senza spiegazione. L'estate scorsa il mancato pagamento di un mese di salario ha provocato due giorni di sciopero.
Anche il fornitore della Puma è nel Guangdong, località Dongguan. Si chiama Pou Yuen, un colosso da 30.000 dipendenti. In un intero stabilimento, l'impianto F, 3.000 operai fanno scarpe sportive su ordinazione per la multinazionale tedesca. La lettera di un operaio descrive la sua giornata-tipo nella fabbrica. "Siamo sottoposti a una disciplina di tipo militare. Alle 6.30 dobbiamo scattare in piedi, pulirci le scarpe, lavarci la faccia e vestirci in 10 minuti. Corriamo alla mensa perché la colazione è scarsa e chi arriva ultimo ha il cibo peggiore, alle 7 in punto bisogna timbrare il cartellino sennò c'è una multa sulla busta paga. Alle 7 ogni gruppo marcia in fila dietro il caporeparto recitando in coro la promessa di lavorare diligentemente. Se non recitiamo a voce alta, se c'è qualche errore nella sfilata, veniamo puniti. I capireparto urlano in continuazione. Dobbiamo subire, chiunque accenni a resistere viene cacciato. Noi operai veniamo da lontani villaggi di campagna. Siamo qui per guadagnare. Dobbiamo sopportare in silenzio e continuare a lavorare. (...) Nei reparti-confezione puoi vedere gli operai che incollano le suole delle scarpe. Guardando le loro mani capisci da quanto tempo lavorano qui. Le forme delle mani cambiano completamente. Chi vede quelle mani si spaventa. Questi operai non fanno altro che incollare... Un ragazzo di 20 anni ne dimostra 30 e sembra diventato scemo. La sua unica speranza è di non essere licenziato. Farà questo lavoro per tutta la vita, non ha scelta. (...) Lavoriamo dalle 7 alle 23 e la metà di noi soffrono la fame. Alla mensa c'è minestra, verdura e brodo. (...) Gli ordini della Puma sono aumentati e il tempo per mangiare alla mensa è stato ridotto a mezz'ora. (...) Nei dormitori non abbiamo l'acqua calda d'inverno". Un'altra testimonianza rivela che "quando arrivano gli uomini d'affari stranieri per un'ispezione, gli operai vengono avvisati in anticipo; i capi ci fanno pulire e disinfettare tutto, lavare i pavimenti; sono molto pignoli".
Minorenni alla catena di montaggio, fabbriche gestite come carceri, salari che bastano appena a sopravvivere, operai avvelenati dalle sostanze tossiche, una strage di incidenti sul lavoro. Dietro queste piaghe c'è una lunga catena di cause e di complicità. Il lavoro infantile spesso è una scelta obbliga per le famiglie. 800 milioni di cinesi abitano ancora nelle campagne dove il reddito medio può essere inferiore ai 200 euro all'anno. Per i più poveri mandare i figli in fabbrica, e soprattutto le figlie, non è la scelta più crudele: nel ricco Guangdong fiorisce anche un altro mercato del lavoro per le bambine, quello della prostituzione. Gli emigranti che arrivano dalle campagne finiscono nelle mani di un capitalismo cinese predatore, avido e senza scrupoli, in un paese dove le regole sono spesso calpestate. Alla Kingmaker che produce per la Timberland, gli operai dicono di non sapere neppure "se esiste un sindacato; i rappresentanti dei lavoratori sono stati nominati dai dirigenti della fabbrica".
Le imprese che lavorano su licenza delle multinazionali occidentali, come la Kingmaker e la Pou Yuen, non sono le peggiori. Ancora più in basso ci sono i padroncini cinesi che producono in proprio. Per il quotidiano Nanfang di Canton, i due giornalisti Yan Liang e Lu Zheng sono riusciti a penetrare in un distretto dell'industria tessile dove il lavoro minorile è la regola, nella contea di Huahu. Hanno incontrato Yang Hanhong, 27 anni, piccolo imprenditore che recluta gli operai nel villaggio natale. Ha 12 minorenni alle sue dipendenze. Il suo investimento in capitale consiste nell'acquisto di forbici e aghi, con cui i ragazzini tagliano e cuciono le rifiniture dei vestiti. "La maggior parte di questi bambini - scrivono i due reporter - soffrono di herpes per l'inquinamento dei coloranti industriali. Con gli occhi costretti sempre a fissare il lavoro degli aghi, tutti hanno malattie della vista. Alla luce del sole non possono tenere aperti gli occhi infiammati. Lamentano mal di testa cronici. Liu Yiluan, 13 anni, non può addormentarsi senza prendere 2 o 3 analgesici ogni sera. Il suo padrone dice che Liu gli costa troppo in medicinali".
Se mai un padrone venisse colto in flagrante reato di sfruttamento del lavoro minorile, che cosa rischia? Una multa di 10.000 yuan (mille euro), cioè una piccola percentuale dei profitti di queste imprese. La revoca della licenza invece scatta solo se un bambino "diventa invalido o muore sul lavoro". Comunque le notizie di processi e multe di questo tipo scarseggiano. La battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile non sembra una priorità per le forze dell'ordine.
Tra le marche straniere Timberland e Puma sono il campione rappresentativo di una realtà più vasta. Per le opinioni pubbliche occidentali le multinazionali compilano i loro Social Reports, quei "rapporti sulla responsabilità sociale d'impresa" di cui la Nike è stata il precursore. Promettono trasparenza sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche dei loro fornitori. Salvo "scoprire" con rammarico che i loro ispettori non hanno visto, che gli abusi continuano. Diversi auditor denunciano il fatto che in Cina ora prolifera anche la contraffazione delle buste-paga, i falsi cartellini orari, le relazioni fasulle degli ispettori sanitari: formulari con timbri e numeri artefatti per simulare salari e condizioni di lavoro migliori, documenti da dare alle multinazionali perché mettano a posto le nostre coscienze. La Nike nel suo ultimo Rapporto Sociale dice delle sue fabbriche cinesi che "la falsificazione da parte dei manager dei libri-paga e dei registri degli orari di lavoro è una pratica comune".
La parte delle belle addormentate nel bosco non si addice alle multinazionali. I loro ispettori possono anche essere ingenui ma i numeri, i conti sul costo del lavoro, li sanno leggere bene in America e in Germania (e in Francia e in Italia). La Puma sa di spendere 90 centesimi di euro per un paio di sneakers, gli stessi su cui poi investe ben 6 euro in costose sponsorizzazioni sportive. La Timberland sa di pagare mezzo euro l'operaio che confeziona scarpe da 150 euro.
Hu Jintao, presidente della Repubblica popolare e segretario generale del partito comunista cinese, ha accolto lunedì a Pechino centinaia di top manager, industriali e banchieri stranieri venuti per il Global Forum di Fortune. Il discorso di Hu di fronte ai rappresentanti del capitalismo mondiale è stato interrotto da applausi a scena aperta. Il quotidiano ufficiale China Daily ha riassunto il suo comizio con un grande titolo in prima pagina: "You come, you profit, we all prosper". Voi venite, fate profitti, e tutti prosperiamo. Non è evidente chi sia incluso in quei "tutti", ma è chiaro da che parte sta Hu Jintao.

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